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domenica 28 giugno 2009

Notti bianche

Il post di ieri mi ha messo nostalgia del topone grigio che mi faceva girare l'Europa 25 anni fa. Così ho ripescato questa diapo del cornuto davanti alla Moschea dell'allora Leningrado. Certo, perchè c'è una moschea a San Peterburg; un tempo il mondo era molto più tollerante di oggi, forse. Quindi vi tocca il seguito del post di ieri. Era l'ultimo decennio del regime e si sentiva nell'aria uno sfacelo incombente, uno sfascio di un sistema che, da quando aveva cessato di basarsi sui metodi forti ed era scivolato a poco a poco nella gerontocrazia bresnieviana, perdeva a poco a poco autorità e funzionalità. C'era nell'aria una voglia di lasciar andare le cose come andavano, tanto non ci si poteva fare niente. Dei temuti controlli neanche l'ombra e anche se l'amico che era con noi, prevenutissimo, continuava a guardarsi intorno convinto di essere seguito dagli agenti del KGB, non c'erano limitazioni evidenti e nonostante l'obbligo di pernottare in campeggi prepagati (unica cosa che interessava, il versamento delle svanziche), si capiva che avremmo potuto tranquillamente dormire davanti all'Ermitage senza che nessuno ci dicesse qualcosa. Proprio sotto l'arco della grande piazza, mentre sistemavamo le cose prima di partire per il giro, un paio di ragazzotti ci avvicinò chiedendoci cosa avevamo da vendere. Parto sempre preparato, quindi estrassi dall'apposito contenitore il pacco di musicassette che tenevo pronte. Gli occhi dei tipi si arrotondarono e il sorriso arrivò alle orecchie alla vista degli ultimi successi di Celentano, Matia Bazar, Ricchi e poveri et similia. Dopo aver controllato nel mangiacassette di ordinanza del mio mezzo, il buon funzionamento del materiale (fidarsi è bene, ma con gli stranieri....) completammo la transazione e mentre l'amico friggeva, timoroso di essere internato in un gulag per commercio illegale, aggiunsi al patto anche un paio di mie vecchie e sdrucite sportosky (così chiamavano le scarpe di gomma ) non resistendo agli occhi bramosi e al filo di bava alla bocca che illustravano il desiderio inestinguibile di materiale occidentale di uno dei compratori. I jeans vecchi li avevamo purtroppo già piazzati il giorno prima. Con le tasche gonfie di rubli che avemmo poi grosse difficoltà a spendere, non essendoci quasi nulla da comprare (il diavolo fa le pentole ma non i coperchi), ce ne tornammo al camping per organizzare la serata. Pioveva forte e dovemmo fermarci a tirare fuori i tergicristalli da sotti i sedili per metterli sulle asticelle, sotto un cavalcavia intasato di zhigulì ferme che facevano la stessa operazione. Era merce ambita il tergicristallo e di quei tempi nessuno osava lasciarlo incustodito sul vetro della macchina. Così quando arrivammo al campeggio era già un po' tardi, anche se le notti bianche lo facevano sembrare pomeriggio pieno. Per concludere la serata eravamo interessati ad uno spettacolo di danze folkloristiche, che si rivelò poi bellissimo. Mi infilo quindi nell'office per cercare info precise e vengo subito accalappiato da una biondina tutta sorriso e moine, con cui cominciamo a chiacchierare. La prendo alla larga per rompere il ghiaccio e quella morde subito, partiamo con i soliti luoghi comuni che vanno sempre bene, Italia, spaghetti, pizza, come mi piacerebbe vedere Venezia, ecc. un repertorio conosciuto. Sfruttando il suo inglese oxfordiano si chiacchiera un bel po', e come mai siete in Russia, e come vi trovate e compagnia bella. Quando capisco che ormai sarà gentile anche se chiedo solo informazioni, sparo le mie richieste, dove, a che ora, che strada è meglio fare per arrivare al teatro, come avere i biglietti. Come pronuncio le domande scatta un clic, cala una maschera, il sorriso si azzera. " Per le domande di lavoro, deve rivolgersi alla mia collega, io sono l'interprete incaricata del tedesco", dichiara come un terminator e non c'è stato più niente da fare. Mi sono rivolto alla collega. Lo spettacolo fu fantastico, ma c'era nell'aria un senso di disfacimento incombente.

sabato 27 giugno 2009

Un incrocio.

Il 238 grigio topo di venti anni aveva lasciato con calma la landa desolata, ma mitica, di Nord Kap e dopo aver zigzagato a lungo tra i laghi finlandesi si avvicinava al confine sovietico in un mattino di fine agosto. E sì caro Doc, non solo andavo in Russia per vendere impianti, ma addirittura a farci le ferie! Dirai che ero matto, ma all'inizio degli anni 80, quel mondo chiuso e sconosciuto aveva un fascino ed un richiamo alla scoperta, a cui non ero riuscito a sfuggire. Poichè un amico voleva assolutamente che gli portassi a casa le corna di una renna e dato che, essendo di dimensioni esagerate, nel camper non ci entravano tutte, le avevamo legate con dei tiranti di gomma (il famoso e micidiale ragno) sulla cabina davanti al serbatoio del GPL a far bella mostra di sé, come la preda che i cacciatori espongono sui cofani delle macchine per fare vedere quanto sono stati bravi. Alla frontiera eravamo l'unico mezzo e, come mi avevano predetto ci apprestammo comunque ad una lunga attesa. Le corna facevano comunque simpatia e dopo aver ridacchiato a lungo ed averci fatto la consueta accoglienza a forza di Italiani, Sicilia, mafia, ecc. i due doganieri bardati, iniziarono l'opera di controllo accurato che avevo previsto (esperienziato da precedenti viaggiatori) in un paio d'ore. Cominciarono con controlli di routine con specchi, per vedere se volevo introdurre qualche clandestino nella Santa Madre Russia (bah?), poi passarono all'interno del mezzo, mi fecero smontare lo specchio nel bagno, timorosi che nell'intercapedine fossero nascoste pericolose riviste antisovietiche. La scoperta del doppio fondo sul pavimento provocò loro una grande eccitazione, mentre me ne imponevano l'apertura con occhi brillanti. Scostato il linoleum ed aperta la botola, frugarono a lungo coi musi lunghi e delusi avendovi trovato solo i ricambi motore che portavo dietro per precauzione. Allo scoccare delle due ore, benchè ci fossero ancora molti interstizi da esplorare, cadde loro in cacciavite di mano e ci lasciarono liberi. Capii dall'occhiata che avevano dato in alto, verso la guardiola degli uffici che l'intensità e la durata del controllo previsto dallo standard era ormai stata rispettata e perdettero ogni interesse a noi dandoci via libera. Un segnale netto di come le cose procedevano per burocrazia immutata e priva di vero interesse. Purtroppo il mezzo non voleva rimettersi in moto, rimanendo ad ingombrare il passaggio comunque deserto. I cerberi rimasero a sonnecchiare su due sedie facendo stanchi cenni della mano a levarci dalle scatole, ma, niente da fare, il maledetto rimaneva morto col cofano alzato e io ed il mio amico a guardarci dentro con aria da finti competenti, a chiederci in che modo ci saremmo tolti dal guano. Tiziana, che era stata estromessa dall'operazione meccanica in quanto femmina, butta l'occhio dentro il cofano e fa: "Ma quel filo lì come mai è staccato e pende?" Con sufficienza proviamo a infilarlo nel buco vicino e bruuum, come per magia il mostro riprende vita e ci consente di lasciarel'area dogana, silenziosi, senza fare commenti di nessun genere. Così pensosi, si arriva alla periferia della allora Leningrado e ci si infila un po' a casaccio per un lungo prospiect. Vietato chiede informazioni sul percorso, il maschio italiano, si sa non chiede, va a istinto. Arriviamo ad un semaforo verde con frecce e vigile al centro. Svolto a destra contravvenendo all'unica regola stradale diversa da quelle italiane. Non si svolta a destra con semaforo verde, bisogna aspettare anche la freccia verde. Vado imperterrito, mentre al centro dell'incrocio il GAI' comincia a fischiare sbracciandosi. Fingendo si non sentire, proseguo, ma il delitto non paga, dopo 500 metri la strada termina senza uscita, bisogna tornare indietro; intravedo lontana in mezzo all'incrocio l'ombra vindice che mi aspetta a braccia conserte. Accosto e scendo in attesa di un processo rapido ed implacabile. Memore dell'andazzo e dei processi sovietici, un po' timoroso della Lubianka, sebbene lontana, sarei pronto ad una autoaccusa formale, ma, mentre si è ormai radunato un capannello di sfaccendati, pensionati e babuske con le sporte, il milite mi punta il dito gridando "пять рублей штрафа!", 5 rubli di multa. Non so come, ma mi viene spontanea la supercazzola. Carta alla mano, comincio a chiedergli indicazioni per trovare il campeggio a cui eravamo diretti, in italiano, mostrando le vie e chiedendo lumi. L'agente dell'ordine continua a richiedere disperatamente il pagamento mostrandomi le cinque dita della mano e mimando la mia infrazione. Intanto attorno al camper bicornuto si è radunata una piccola folla che partecipa con vigore al dibattito, chi cercando di fare segni sulla carta, chi cercando di deviare le intenzioni della legge, chi commentando cosa ci andava a fare da quelle parti un baraccone di quel genere, proveniente per di più dall'Italia. Le invettive della guardia diventano sempre più flebili, alla fine una vecchietta lo prende di punta e lo rimbrotta con aria severa. Credo che il senso fosse: "Ma va là non vedi che sono stranieri, poveretti e che bisogna dargli una mano?" Il GAI' cedette di colpo e se ne andò borbottando imbronciato nella sua guardiola e dopo aver stretto un po' di mani ce ne andammo verso la nostra meta. Le prime crepe nel gigante dai piedi d'argilla del regime, cominciavano a mostrarsi nella loro tragica evidenza.

giovedì 4 giugno 2009

Bianco zucchero

Leggendo golosamente questo post del blog di Bressanini, particolarmente ghiotto per me che amavo la chimica, al contrario della maggior parte degli studenti (sarà per questo che la parola "kimica" usata dai teobio, ha una valenza così negativa), mi è tornato alla mente un fatto accadutomi durante la mia prima ed unica visita in Bielorussia. Credo che batta tutti gli altri posti del mondo, non ne ho mai visti di così piatti, anche in Olanda c'è una collinetta di 300 metri, mi pare. Il treno per Minsk sferraglia per ore nel piattume bianco e liscio. Solo i boschi di betulle alternano gli spazi, bianche anch'esse ma con una scansione verticale alla ricerca di una armonia aliena, quasi un richiamo a Fontana, con tronchi leggermente piegati a simulare tagli nel cielo livido invernale. La città, rasa al suolo nella guerra è rinata dalle rovine sulla necessità di una rapida ricostruzione postbellica e presenta(va) in ogni sua parte una unica serie di orribili e miserevoli falansteri sovietici, una mappa di Mondrian monocolore e tristissima. Gli abitanti scherzavano molto, in quel periodo su Ciernobil e sul fattaccio avvenuto da poco. La centrale è a 600 km ed i venti spirano normalmente in quella direzione, così si diceva che gli ukraini ci tenevano a mantenere Minsk al caldo. Dove non si vive molto bene, la gente ha una tendenza a ridere molto, come per una reazione liberatoria, ma era un ridere nervoso, mi sembrava. La ragione della nostra visita era al solito, quella di cercare delle occasioni di business praticabili in quei paesi che si stavano aprendo. Era un periodo in cui arrivavano le proposte più strane e strampalate, come quella di pochi giorni prima, che avevamo glissato elegantemente, in cui ci era stato offerto un cacciatorpediniere al prezzo del suo peso in ferro (132 lit/kg, reso porto italiano) che però, dato che si trattava di circa 18.000 Ton. faceva sempre un bel 2 miliardi e mezzo di lirette. Nella divisione dell'URSS, alla Bielorussia era rimasta questa nave, ma non avendo questa sbocco al mare, cominciava a diventare un problema e volevano farsela fuori a prezzo di saldo. Così eravamo passati a cose più serie, dopo aver schivato anche una serie di inventori della domenica che proponevano i loro fantasiosi brevetti, una vera piaga del paese. Il nostro contatto assicurò che quel giorno avremmo incontrato un rappresentante di un grosso kombinat che aveva una proposta interessante, quindi andammo anche se oramai ci sentivamo alquanto delusi dalla situazione. Nel solito palazzone anonimo, passando attraverso porte squinternate e ambienti cadenti e tristissimi, fummo presentati al direttore generale che, come di consueto a quei tempi troneggiava dietro una scrivania a T , assai consueta negli ambienti sovietici del tempo. Il capo stava un po' più in alto in posizione dominante a sottolineare il potere e di fronte, ma più in basso, la scrivania si allungava (poco o molto a seconda dell'importanza del capo) ortogonalmente, in un tavolo attorno al quale si allineavano i subordinati. Mi risulta che questa tipologia di scrivanie venne importato anche da noi, in diverse sedi del PCI, chissà se qualcuno me lo può confermare. Comunque il potente fu molto affabile, tenendo a mostrare la sua internazionalità, esibendosi in sei lingue con proprietà di termini, per farci capire come fosse uso a trattar con occidentali e che se non eravamo rapidi e svegli, l'affarone l'avrebbe proposto ad altri. "Chi è più svelto fa i milioni" gigioneggiava arrotando l'occhio con fare complice. Arrivò, chiamato all'ordine, uno stuolo di tecnici, con rotoli di layout da spiegare sui tavoli, ma noi insistemmo che volevamo prima capire bene di che cosa si trattava, in quanto il nostro contatto aveva accennato solo ad un progetto di alta tecnologia industriale. E proprio di quello si trattava, spiegò paternamente il potente, che diede la parola al Glavny Inghenier per presentare il progetto. Si trattava, utilizzando un escusivo brevetto delle teste pensanti del kombinat, di un megaimpianto per la "produzione del furfurolo attraverso lo sfruttamento delle bagasse esauste". Non voglio entrare nei particolari tecnici che potrete approfondire nel blog a cui ho accennato in apertura, ma, come avranno già ipotizzato i miei lettori liguri, chiarimmo subito che non eravamo interessati a entrare nel settore chimico, occupandoci noi, soltanto di meccanica. Ce la filammo all'inglese, attraversando il grigio cupo della città verso la stazione, dopo i consueti brindisi alla imperitura amicizia italo-bielorussa.