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mercoledì 15 luglio 2009

Bianco di betulla

L'inventiva è dono raro, se poi si unisce all'immedia-tezza ed alla capacità di utilizzo dell'idea folgorante nell'occasio-ne propizia, allora diventa arte ed è di pochi. Quanti si rammaricano, terminato l'evento, di come avrebbero potuto intervenire con arguzia, aggiungere un'osservazione intelligente, dire una cosa memorabile. Troppo tardi, tutti se ne sono già andati e l'idea rimane lì, sterile, ormai inutile a frullare nella testa per tutta la notte. Ancora inverno con babbo gelo che copre la foresta infinita di betulle dell'immensità siberiana di neve vergine. Irkutsk pigra ed immobile sul Bajkal, dorme tranquilla tra Jakutsia, Buriatja e Chita, terrae incognitae, note solo ai giocatori di Risiko. Eravamo stanchi dopo una giornata trascorsa all'accettazione definitiva di un piccolo impianto per produrre casse portabottiglie e dopo una cena anonima nel salone dell'unico albergo, ci preparavamo al sonno del giusto per recuperare le forze alle battaglie del giorno successivo. Blinj con sevruga, balik, una saljanha un po' oleosa e carne grigliata anonima. Mentre attendevamo il dessjert, ecco dal fondo della sala, avvistata la preda, avvicinarsi la tipica fauna degli alberghi russi, due gentili signorine che con uno smagliante sorriso di circostanza pongono le domande di rito e che la cortesia impone di far accomodare. Per fortuna la cena era ormai finita e ci si salva con un bicchierino di classico Amarjietto, il più amato dalle russe. Caso anomalo per la femmina russa media e la siberiana in particolare, le due erano piuttosto anonime, Anja una biondina magra e slavatella e Zvjeta, una burjata bruna e grassoccia che, in corrispondenza alla sua etnia, sembrava avesse sbattuto la faccia contro un camion. Cominciarono subito con il panegirico sull'italianità, mentre noi cercavamo una via per lo sganciamento educato. E' qui che la genialità trova la sua corretta applicazione. Alla domanda legittima su cosa ci facevano tre simpatici italiani nelle profondità delle Russie, il più abile slavofono tra di noi, l'amico Ferox, che di tanto in tanto compare qui con sagaci commenti, cominciò a raccontare la nostra storia. Eravamo alti funzionari di una ditta italo-australiana arrivati ad Irkutsk per creare una grande Joint-venture con la municipalità. Infatti eravamo venuti a conoscenza di un fatto assolutamente rivoluzionario e segreto. Nelle vicinanze del lago e solo lì, luogo unico al mondo, spirara per quasi 250 giorni all'anno il vento da nord, sempre uguale, teso e gelido e sempre nella stessa direzione. Questa particolarità aveva prodotto intere immense foreste di betulle i cui fusti piegavano tutte nello stesso modo con un angolo quasi perfetto di 121 gradi. Esattamente la curvatura del boomerang di cui la nostra azienda era leader mondiale per fabbricazione e commercializzazione. Così era nata l'intenzione di costruire una grande fabbrica di boomerag, ecologicamente compatibile, sulle rive del lago, che ottenendo con facilità un boomerang perfetto da ogni betulla abbattuta, avrebbe dato lavoro ad almeno tremila persone della zona. Le ragazze, che non avevano mai sentito la storia del troncio e dello stuzzicadenti, anche se adattata al luogo, assentivano col capo e con la bocca appena aperta per la meraviglia. Una chiese se il fratello avrebbe potuto fare domanda di assunzione. La mattina prestissimo era prevista l'inspeczia alla foresta più vicina e la firma del kantract. Per questo le lasciammo a consolarsi con la bottiglia dell'Amarjietto, ma mentre ce ne andavamo all'ascensore vedemmo che si dirigevano verso un tavolo di Coreani in cerca di miglior fortuna. La lunga notte siberiana aveva vinto da ore la fioca luce del giorno.

domenica 12 luglio 2009

Neve nera

I primi di novembre del 1991 non erano particolarmente freddi a Mosca e la Moscova non ancora ghiacciata scorreva lenta, quasi oleosa, come invischiata tra i lacciuoli di un sistema morente. Da ogni parte si avvertiva netto il senso del disfacimento, dello sfilacciarsi delle ultime tenute, dell'anarchia che stava per esplodere. La perestroica di Gorbaciov, aveva dato l'ultimo e definitivo colpo a tutte le poche strutture ancora funzionanti ed nel paese c'era netto il senso di sbando totale, in cui nessuno più produceva niente e allo stesso tempo tutti pretendevano quello a cui ritenevano di avere diritto, mentre i più svegli cominciavano a riposizionarsi in attesa del momento giusto. Lunghe code per strada in cui la gente si fermava appena saputo che lì c'era qualcosa da comperare, qualunque cosa fosse, invece di andare a far finta di lavorare. Nel momento in cui tutto stava andando a rotoli, si favoleggiava della disponibilità di mirabolanti tecnologie, militari ovviamente, tenute segrete per anni, che adesso, nel momento della crisi più totale, erano disponibili per chi potesse investire, per chi avesse ambiti dollaroni da spendere, l'unica moneta che facesse aggio. Anche la nostra azienda pensò che ci potessero essere oppotunità e sfruttando le giuste conoscenze creò una piccola società di acquisizione e sfruttamento di brevetti scientifici, inserendovi un politico con le mani in pasta e uno scienziato, conoscitore delle segrete cose. Ed eccoci all'occasione; un centro studi voleva cedere un brevetto interessante, si trattava di un sistema di indurimento superficiale degli utensili con un particolare trattamento laser. I furboni, ecco come trasformavano acciai di seconda categoria in materiali di durezza incredibile; un po' la pietra filosofale sovietica. Era buio giallognogno e fumoso come tutti i tardi pomeriggi invernali russi, quando passò a prenderci una grande Volga nera a fari spenti. La guidava un armadio ingiacchettato col muso duro e tesserino KGB stampato sul muso rincagnato. Lo scienziato era seduto davanti armeggiando con un telefono da auto con una cornetta anni trenta in bachelite bianca. Non avevo mai visto fino ad allora un telefono fisso su un auto. Salimmo nel cortile, nascondendoci alla vista dei rari passanti che rientravano in casa con le sportine vuote e la macchina si lanciò a velocità folle nelle strade deserte di una Mosca avvolta nel giallino lattiginoso dei fiochi lampioni. Arrivammo in una delle tante periferie della capitale dirigendoci verso una bassa costruzione che pareva una vecchia stazione di servizio in disuso. Eravamo attesi, perchè un omone avvolto in una gigantesca mimetica aveva già aperto il cancellone sbilenco, dopo aver posato il kalashnikov a terra. Parcheggiammo facendo stridere le gomme e scendemmo in fretta in un clima di sospetto, guardandoci intorno. Entrammo nel basso edificio, sede del centro di ricerche segreto. I primi ambienti sembravano una officina anni 50 col pavimento unto di olio e vecchi torni malandati sparsi a casaccio. Ero ammirato. Con quale astuzia si celavano le ricerche di avanguardia! Nessuno avrebbe potuto sospettare che quella malandata costruzione nascondesse cose di tale importanza, anche se il filo spinato intorno e gli OMON sparsi dovunque indicavano che forse lì non si distribuivano gelati. Comunque pareva di essere in un film; da un momento all'altro un ascensore ci avrebbe portati nelle viscere del centro dove un mondo di fantascienza spio-bondistica ci avrebbe trasportato nel futuro. Invece no. Il centro era proprio quello lì che vedevamo, con le frese mezze rotte e un generatore spompato che faceve tremolare le luci delle lampadine da 25 candele. Lo scienziato ci spiegò che purtroppo da anni, non si poteva avere di più, ma le idee, quelle non hanno bisogno di finanziamenti. Al di là di una tramezza di compensato traballante fummo introdotti nella sala laser, dove troneggiava un baraccone di ferro arrugginito in diversi punti. Consegnammo le punte di trapano di materiale tenero che avevamo portato con noi per testare il trattamento ed un addetto claudicante le inserì negli appositi alloggiamenti, poi tutti ci ritirammo dietro l'apposita paratia. Qui, il tecnico, davanti ad una plancia tentò più volte di avviare la macchina, ma i grossi interruttori marroni, consumati dall'uso non ne volevano sapere. Maledicendo il governo e quanti gli negavano i fondi lo scienziato prese a battere su alcune leve di cui una si ruppe subito, poi il tecnico, utilizzando l'arte di arrangiarsi comune ai due popoli, infilato un grosso cacciavite nell'interruttore renitente riusci a far scattare l'avvio. Il mostro cominciò a ribollire con sordi brontolii di fronte a noi, poi, in un crescendo rossiniano, assai poco tranquillizzante, prese a ronzare sempre più forte fino a che, tra la preoccupazione che ormai si palpava intorno a noi, scaricò con un gran botto tutta la sua potenza e di colpo si tacque. Il bombardamento laser sembrava concluso. Lasciammo quatti il centro con le preziose punte trattate, filando ai cento all' ora nella notte verso l'Hotel Pekin, gelido come una bara. Al test in Italia le punte di trapano trattate si rivelarono molli come banane, così almeno ci relazionò il tecnico che eseguì i test. Al nostro rientro a Mosca, Gorbaciov stava per cadere, lo scienziato disse che forse, il processo andava ancora affinato per poter dare risultati convincenti, ma che aveva utilizzato lo stesso trattamento in Ukraina in un allevamento di maiali, bombardandoli nelle chiappe e pareva che i prosciutti aumentassero del 20% in peso a parità di alimentazione. Un vero business. Lo lasciammo nella Tviershajia che ancora si sbracciava per mostrare la forma delle coscie. Il gelo invernale era ormai sceso implacabile e le strade erano coperte di neve ghiacciata nera come il cielo.