tag:blogger.com,1999:blog-21984562031703534522024-03-13T04:51:54.014+01:00Dalla Russia con il cuoreRicordi di una Russia che cambiaEnrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.comBlogger83125tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-76318618205459515722011-02-10T09:53:00.001+01:002011-02-10T09:55:17.097+01:00Importante!<div align="justify">Cari amici,<br /><br /></div><div align="justify"> </div><div align="justify">Come la maggior parte di voi sa, questo blog non è altro che uno spazio di nicchia dove, per comodità di consultazione, vengono raccolti tutti post tematici che riguardano la Russia e quella cultura, che pubblico invece insieme agli altri anche nel mio blog generalista <a style="color: rgb(255, 0, 0);" href="http://ilventodellest.blogspot.com/">Il vento dell'Est</a>. Mi sembrava una soluzione valida per venire incontro a coloro che sono interessati a questi argomenti e che non vogliono perdere tempo con altre cose. Pare invece che al grande fratello (che comunque questi spazi ci concede senza farci pagare) questa impostazione non sia gradita, in quanto la classifica come copiatura di dati che intasa il web, e pertanto la penalizza nei suoi algoritmi di ricerca. Quindi mio malgrado, non proseguo nel dilatare questo spazio. Invito invece caldamente tutti quelli che amano seguirmi, a passare sul mio blog pincipale:<br /><br /></div><div align="justify"> </div><div align="justify"> </div><div align="center"><a href="http://ilventodellest.blogspot.com/"><span style="font-size: 180%;">http://ilventodellest.blogspot.com/</span></a><br /><br /></div><div align="justify"> </div><div align="justify"> </div><div align="justify">dove continuerò naturalmente ad occuparmi di questi argomenti.</div>Grazie a tutti della comprensione e vi aspetto di là.Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-90204246049700100912011-01-17T11:06:00.004+01:002011-01-17T23:16:22.813+01:00Casa Russia.Era sulla trentina, faccia aperta, baffi e sorriso allegro, mi sembra si chiamasse Serghiey Odoevskiy, come lo scrittore. Faceva l'autista per noi in quegli anni difficili dove quando arrivavi a Mosca telefonavi dall'aeroporto all'ufficio per dire la targa del taxi che prendevi, dato che la leggenda metropolitana raccontava di stranieri appena arrivati e ritrovati nelle periferie, nudi dentro a un fosso. Chissà se era poi vero o se quei tali, sessantenni strapanzoni sudaticci, avevano pensato che qualche diciottenne con gli zigomi alti e gli occhi da gatta che fa le fusa, si fosse innamorata perdutamente di loro e l'avevano seguita a casa dalla mamma malata. Situazioni normali in cui molti amano credere quello che vorrebbero che fosse la realtà.<br /><br />Noi, per stare tranquilli, avevamo Serghiey, con la sua Zhiguly malandata che però, lui, ingegnere e appassionato di meccanica automobilistica, manteneva in condizioni accettabili, riuscendo a procurarsi gli introvabili ricambi che la situazione consentiva. Parlava anche un discreto italiano e andando verso il centro raccontava sempre l'ultima barzelletta sui nuovi russi che cominciavano ad infestare gli ultimi brandelli dellUnione Sovietica che stava affondando. Ti rispondeva "Non ci è probliema" anche se gli chiedevi "Che ore sono?". Rideva sempre alla fine, mai sguaiato, con la stessa allegria triste che accompagna questo popolo che ama crogiuolarsi nelle sventure, ma che è fatto principalmente di gente buona. Quella volta che arrivavamo a Domodiedovo da Samara, io e Ste., come sempre stanchi ma curiosi, una coperta bianca ed infinita avvolgeva le foreste di betulle intorno alla strada. Un pallido sole lontano, la faceva risplendere come polvere di diamanti del diadema di una regina del nord. La strada attraversava un piccolo fiume ghiacciato, credo il Pakhra, che si allargava in una grande ansa piatta con qualche piccola formichina nera, pescatori seduti sulla lastra davanti al loro piccolo buco nel ghiaccio. Sulla ripa digradante del mantello bianco, le torri di un piccolo monastero, con un muro basso a protezione dei pochi edifici sparsi davanti al fiume. Un atmosfera resa magica dalla solitudine assoluta, dall'aria frizzante e dai baluginii dei raggi sui candelotti di ghiaccio che scendevano dai tetti.<br /><br />Ci rimanemmo una mezz'ora, senza parlare, godendo di quell'atmosfera rarefatta, senza inseguire quel pope nero, lontano, che sgusciava da una porticina di un campanile sormontato da una grande cupola dorata a cipolla. La Zhiguly ci aspettava lontana al margine del bosco, ce l'ho ancora nitida nella mente e l'ho rivista l'altro giorno in un vecchio film, Casa Russia, girato proprio lì (non è male se vi capita dateci un'occhiata). Mi ci sono ritrovato di colpo, quasi spostato dalla macchina del tempo. Quando cominciammo a sentire la fitta al petto che segnala che la temperatura è davvero bassa e conviene andare al coperto, tornammo lentamente alla macchina; la bassa periferia di Mosca cominciò ad avvolgerci nel suo abbraccio suadente, mentre la neve fresca che tentava di scendere con fatica, a piccoli fiocchi gelati, crocchiava sotto i pneumatici consumati. Serghiey non parlava più, ma sorrideva. Dopo poche settimane se ne andò per seguire il suo sogno, un officina attrezzata di tutto punto per automobili, che immaginava come un Bengodi pieno zeppo degli introvabili e desideratissimi ricambi.<br /><br /><br /><br /><br /><object width="480" height="385"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/l8lqnDPZfYQ?fs=1&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/l8lqnDPZfYQ?fs=1&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true" height="385" width="480"></embed></object><br /><br /><div align="justify"></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong></strong></div><div align="justify"><strong><br /><br /><br /></div></strong>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-71626787055295906582010-12-08T10:49:00.002+01:002010-12-08T10:52:02.306+01:00Hotel Pekin.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg33l4GoA9dbblKwDFimEwyVg5ACI2cho_CXjmK9mw8w397XaoLYBNQR137zYjedRAtLMOPseaZ1FEdteMbbIiT5aDK3SCKDZGpJ3GoP0lUxy_sp2XvjatdPbVRnAzADzxuJsq1m6E6m053/s1600/pekin-hotel-moscow.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 220px; DISPLAY: block; HEIGHT: 330px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5548246895646140178" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg33l4GoA9dbblKwDFimEwyVg5ACI2cho_CXjmK9mw8w397XaoLYBNQR137zYjedRAtLMOPseaZ1FEdteMbbIiT5aDK3SCKDZGpJ3GoP0lUxy_sp2XvjatdPbVRnAzADzxuJsq1m6E6m053/s400/pekin-hotel-moscow.jpg" /></a><br /><div align="justify">Sono stato a Mosca per la prima volta nel 91. La situazione era irreale e nevicava fitto, nell'atmosfera di semioscurità latente di un novembre che preannunciava un inverno duro. La Moscova era ormai ghiacciata e le code che si formavano come per abitudine davanti ai negozi vuoti, nel lucore giallastro del primo pomeriggio, erano piene di volti stanchi e depressi, mentre le rare macchine giravano per il <em>Kalzò</em> lasciando una scia azzurrognola e puzzolente di carburante malato. L'atmosfera generale mi parve davvero cupa. Usciti dall'ufficio, percorrevamo a piedi le poche centinaia di metri che su un largo marciapiede ci portavano fino alla Gastiniza Pekin. La neve crocchiava soffice sotto le mie suole pesanti, mentre mi stringevo nella <em>dublionka</em>, con la <em>shapka</em> calata sulle orecchie, per trattenere il caldo dolciastro dell'ambiente da cui ero appena uscito. </div><br /><div align="justify">Non facevo tempo a prendere freddo. Superata la grande piazza semideserta si aprivano, forzandole un po', dato che erano tutte sgangherate, le porte del vecchio hotel staliniano. Il più classico edificio del regime, uno dei sette di stile neoassiro, mutuati dalla visita newyorkese che il dittatore fece negli Stati Uniti e che scimmiottavano lo stile che tanto gli era piaciuto. Il Pekin era il più piccolo dei sette e forse il peggio riuscito con la sua decina di piani e le torri finali sproporzionate, decisamente il fratello minore anche rispetto all'Hotel Ukraina dall'altra parte del fiume, più arioso e composto. Ma la sensazione più tremenda ce l'avevi all'interno, superata la zona cuscinetto tra le porte che divideva la hall dalla piazza esterna cupa e coperta di neve. Le solite tristi incombenze al pesante bancone dove stanche addette ti facevano il favore di ritirarti i documenti vari e ti consegnavano di malavoglia il passport interno, poi te ne andavi verso gli ascensori , quasi tutti rotti per arrivare al tuo piano.<br /></div><div align="justify"></div><br /><div align="justify">Qui, se avevi fortuna trovavi la <em>dejurnaia</em>, la capa del piano, il più delle volte addormentata su un divano di similpelle slabbrata e quando, incattivita dallo sgradito risveglio, ti consegnava la chiave, andavi, senza disturbarla più oltre, a cercarti la camera lungo gli enormi ed infiniti corridoi. Poi ti rinchiudevi nella stanza gigantesca. Tutto doveva essere grande e maestoso quando l'albergo era stato costruito; le dimensioni dovevano evidentemente risultare allo stesso tempo monito e minaccia per chi ne usufruiva o semplicemente le guardava; testimonianza di grandezza, ma anche di severa attenzione. Occhio a quello che fai che il grande fratello ti vede e ti giudica. In ogni momento. Questa era la sensazione. Inoltre si favoleggiava che dappertutto ci fossero microfoni e le leggende in tal senso si sprecavano, anche se nell'agonia finale del regime, credo che tutto fosse un po' lasciato a sé stesso e l'incuria generale avesse invaso anche questo aspetto della vita politica.<br /></div><br /><div align="justify">Al piano terra, in fondo c'era il ristorante, una misera e scarna interpretazione della cucina cinese, sempre scarsamente fornito anche di quei tre o quattro piatti che il deludente menù proponeva, su tovaglie macchiate e stazzonate. Era frequentato di malavoglia dai pochi clienti dell'hotel che al mattino, ci facevano una tristissima colazione a base di cetrioli e smietana, mentre un colossale (tutto doveva essere grande) samovar di acciaio troneggiava in un angolo della sala per il thé. Al sabato sera arrivavano gruppetti o coppie di ragazzi russi per festeggiare qualche compleanno, riempiendo qualche tavolo qua e là, i maschi con le giacchette lise e strette con una rosa in mano, le ragazze diafane e bellissime con le camicette di poliestere trasparenti e le scarpe col tacco che si erano portate nel sacchetto di plastica per cambiarsi gli stivali da neve con cui erano arrivate dalla fermata della metro poco lontana. Aspettavano a lungo dopo l'ordinazione ai camerieri svogliati, ma non sembrava loro importare. Poi si mangiavano con cura gli involtini primavera rinsecchiti e il pollo alle mandorle freddo, guardandosi negli occhi, inconsapevoli e forse disinteressati ai cambiamenti epocali e ai durissimi anni che stavano alle porte, al di là del grande ingresso, mentre la neve continuava a cadere stanca, a soffocare i pochi rumori della notte sovietica.</div><div align="justify"> </div><div align="justify"> </div><div align="justify"> </div>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-9956673737613250692010-11-10T09:58:00.001+01:002010-11-10T10:00:41.711+01:00Hotel Rossija.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUH49Uqn2l5-htpCPJkwpth_51Q7hl_OZZRVFc5EQ86njHMzjhI8MjlFKdEhqHVoYUhrq3c5AeobWOX4zMozM4FhmkQbrDKQ83rfnLjy9Fv3Ep1zrXORLfykfs8dHDa9sXaAJCsXz9jAKY/s1600/zaradye.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 400px; DISPLAY: block; HEIGHT: 293px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5537843340712540466" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUH49Uqn2l5-htpCPJkwpth_51Q7hl_OZZRVFc5EQ86njHMzjhI8MjlFKdEhqHVoYUhrq3c5AeobWOX4zMozM4FhmkQbrDKQ83rfnLjy9Fv3Ep1zrXORLfykfs8dHDa9sXaAJCsXz9jAKY/s400/zaradye.jpg" /></a><br /><div align="justify"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdKL___bTlrfFPFX7YrIOCO_H-637wq_cNa9vn2Ljgevvn43VYSE8vRKRSc3OxfLENftofqZgCUF7W6ICRlxcuwmm7IUirmQhlOEY2GeaZWfTGVtMtRvNVvgoaQ0mOlMQNH3hhCu4PZkg/s1600/zaradye.jpg"></a>E' certo vero che la bellezza è salvifica, ma credo che sia altrettanto provato che l'homo inscipiens sia portato naturalmente al brutto. Se tutto questo può avere un suo senso nei casi emergenziali, bisogna dire che la maggior parte degli scempi viene perpetrata anche e soprattutto quando la lussuria della bramosia economica si accoppia al desiderio di cambiamento e alle necessità contingenti. Alcune delle cose più brutte vengono fatte proprio in questi frangenti. Mosca non fa eccezione di certo a questo assioma, senza parlare delle periferie, che quelle sono orribili in tutto il mondo. Il centro zarista di un tempo aveva di certo una sua unità mirabile di palazzi e monumenti che, nella lucida visione urbanistica ottocentesca, conducevano attraverso un crescendo di solida bellezza alla gemma centrale del Cremlino, facendo di questa capitale una mirabile commistione di grandeur europea pervasa dalla mollezza concessa dai grandi spazi asiatici e dalle suggestioni dei suoi imperi secolari, perfetta mescolanza di raffinatezze bizantine e ferocia mongola.</div><br /><div align="justify"><br />Proprio ai piedi del Cremlino sorgeva lo Zaryadye, uno dei quartieri probabilmente più belli d'Europa, un insieme apparentemente disordinato di chiese ortodosse dalle cupole orientali colorate e di palazzetti che costituivano un unicum straordinario. Nel suo delirio di potere, al culmine del risultato economico della NEP e del successivo slancio industriale, Stalin decise di raderlo al suolo nel 1935, per costruirvi uno dei grandi grattacieli di stile assiro-americano che tanto lo avevano colpito di New York. La distruzione fu completata appena prima dello scoppio della guerra, come si vede in una cartolina dell'epoca. Quindi, quando si potè mettere mano al progetto erano ormai arrivati gli anni 60. Cominciò allora la costruzione dell'Hotel Rossija, forse la più grande offesa dell'umanità al buon gusto ed alla cultura. Mi ci portava l'amico Ferox, data la comodità della posizione. Arrivavo sempre la sera tardi dall'aeroporto ed il gigantesco cubo nero che emergeva dalla notte ti dava subito un senso di tenebrosa inquietudine. Nell'ingresso squinternato e semideserto si aggiravano losche figure dagli incarichi incerti e sempre in cerca di attività border line nella migliore delle ipotesi. </div><br /><div align="justify"><br />Al bancone, infastidite incaricate ricoperte di belletti cospicui, controllavano di malavoglia i documenti e la prenotazione ottenuta tramite amici degli amici, che diversamente avere una camera in maniera normale, con una telefonata ad esempio, era impresa impossibile. Con il tuo passi in mano, osservato altezzosamente dal finto facchino che evidentemente svolgeva altre poco pulite attività, ti caricavi il valigione alla ricerca, prima degli ascensori per vedere se almeno uno funzionasse e poi ti incamminavi lungo gli infiniti corridoi resi bui dalle lampadine rotte o rubate, dove si allineavano senza fine le quasi 4000 camere dell'albergo più grande del mondo. Anche la dejurnaija del piano, quasi sempre appisolata su un divano letto sgangherato, non faceva da ultima barriera come suo compito, così ti trovavi da solo la chiave abbandonata su una rastrelliera arrugginita e ti ritrovavi finalmente nella tua camera malandata e squallida. Staccavi subito la cornetta per impedire ai drappelli di signorine, che invece in folti drappelli svolgevano una alacre attività, di telefonarti ogni dieci minuti per tutta la notte, al fine di offrirti un relaxing massage, evidentemente uno dei servizi più richiesti nell'albergo e ti buttavi distrutto dal viaggio nel letto sgualcito in attesa di fuggire la mattina, dopo aver tentato di fare una specie di colazione, in uno stanzino triste, dominato da un gigantesco samovar di acciaio con un thé annacquato e qualche fetta di pane rinsecchita con cetrioli e composta. </div><br /><div align="justify"><br />Negli anni, mentre il degrado aumentava in parallelo al malaffare, le mafie probabilmente si impadronirono dell'intero controllo dell'edificio. Per evitare il completo cedimento della funzionalità, alcune parti, come pezzi di corridoi, furono cedute a società private che ne fecero dei sub-alberghi, rinfrescandone alla meglio le camere prese in gestione. Così dopo essere penetrato nel mostro ti infilavi in una sottosezione chiamata Hotel Gioconda, gestito da "Italiani" con annesso ristorante detto dei Salernitani, che proponeva "pesce appena arrivato dall'Italia", dove robuste guardie del corpo presidiavano gli ingressi rinforzati, selezionando i clienti attraverso le porte trapuntate. I business più ambigui fiorivano da quelle parti, suscitando credo, robusti appetiti. </div><br /><div align="justify"><br />Il direttore del Rossija fu infatti presto assassinato tra l'indifferenza generale, come molti responsabili di funzioni in odore di "sviluppo commerciale" in quel periodo. Però su tutto dominava il mostro assoluto di quella costruzione che da un lato ottundeva la vista delle mura rosse del Cremlino, dall'altra sgorbiava irrimediabilmente il lungo fiume, tristissimo e orrendo al tempo stesso. Solo un bombardamente avrebbe potuto risolvere la situazione. Bene, inopinatamente nel 2006 un'orda ruspe salvifiche circondarono il cadavere putrescente e lo demolirono completamente. Oggi l'area, mi dice l'amico Ferox, è circondata da una completa recinzione, in attesa, si dice, della ricostruzione di un'Hotel a 7 stelle per rappresentare meglio l'orgoglio Putiniano e della Nuova Russia. Nessuno conosce davvero il progetto. Forse il nuovo mostro che sta per nascere sulle macerie delle delicate chiesette ortodosse, subirà altre modifiche. Gli appetiti dei vampiri non demordono, anzi si fanno più brutali e famelici, d'altra parte si sa, con la cultura non si mangia, provate a mettere la Divina Commedia in un panino.</div>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-46281417767765570002010-10-21T10:12:00.001+02:002010-10-21T10:15:01.259+02:00Caviale e kognak.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_VJjXULRQZzR6IM_TCM4qUYuJEIlsXLR4QYC-6ivOd7r1oqyzlInaw3QOKwi3e8BNGgW2kBQOM382JqGosjTEU0_5d89mILHjzX_akazuGZWPPM4rMQ3QVKzG0Yw2_AQN3sB2i4OJANFE/s1600/els2.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 259px; DISPLAY: block; HEIGHT: 194px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5530409703488437794" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_VJjXULRQZzR6IM_TCM4qUYuJEIlsXLR4QYC-6ivOd7r1oqyzlInaw3QOKwi3e8BNGgW2kBQOM382JqGosjTEU0_5d89mILHjzX_akazuGZWPPM4rMQ3QVKzG0Yw2_AQN3sB2i4OJANFE/s400/els2.jpg" /></a><br /><a href="http://ilventodellest.blogspot.com/2010/10/caviale-e-kognak.html"></a><br /><div align="justify"><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhs2UxA3WCkwaxSkfbfD3NHj7SuyuwjXPx27HDBvYa_WCJ8jvoRILDIspagPk6tKKKUvJaDo4-nE-OeDVp4ShQC2j2mGgrus_Fhrlfh6wsz2C4ups_rl0fUz1F8x1Um9lcQNyj0-uu-Px4/s1600/elis.jpg"></a>L'autunno a Mosca anticipa, e di molto, le nostre consuetudini. Alla fine di ottobre generalmente, le folate gelide che arrivano da nord, fanno camminare veloci i passanti che tirano su i baveri dei cappotti in attesa della prima neve. Gli alberi dei giardini hanno già perduto quasi tutte le foglie ed i rami, all'apparenza secchi e neri, mostrano al cielo la loro nuda disperazione. Una delle mie passeggiate preferite, terminato l'ufficio, era, girato l'angolo sul Kalzò, di fronte alla massa grigia e severa del vecchio Hotel Pekin, percorrere la Tverskaija che, con una leggera discesa, quasi volesse accompagnare i viaggiatori che dopo un lungo viaggio arrivavano da occidente, ti portava, lenta,come lo scorrere del tempo in Russia, fino alle meraviglie del Kremlino. E' una strada larga e un tempo elegante che invita al passeggio sui grandi marciapiedi su cui sfila ininterrotta la serie dei palazzi della Mosca di fine ottocento, un tempo ricchi ed eleganti.<br /></div><br /><div align="justify">Qui anche nella Mosca disperata degli anni 90, vedevi brillare gli ultimi fuochi del regime. Quel che rimaneva disponibile delle merci ormai in via di scomparsa, da ogni angolo dell'impero, arrivava qui per essere esibita nei negozi che dovevano rappresentare un lusso nascostamente esibito, al tempo stesso dimostrazione della potenziale ricchezza del sistema e della disponibilità della medesima per il popolo che, nella realtà non aveva effettive disponibilità di accedervi. Nel Dorije morie bianco e blu, potevi vedere qualche pesce secco dal Baltico e qualche cassetta di molluschi, nei negozi Atelier, qualche manichino triste su cui erano appesi vestiti che teoricamente potevi andarti a fare su misura, nei Chasì occhieggiavano ripiani pieni di vecchi orologi che invece di essere dati a riparare come nella mission del negozio, erano esposti in cerca di un compratore. Ma, superata la piazza Pushkin, lungo la leggera discesa, ecco apparire a sinistra, al numero 14, una magia inspettata.In un grande palazzo ridondante di stucchi, si aprivano le pesanti porte dell'Eliseev Gastronom. </div><br /><div align="justify"></div><br /><div align="justify">Nel 1901, il ricco mercante ebreo di San Pietroburgo aveva creato questo negozio che doveva rappresentare il massimo della offerta gastronomica russa in un ambientazione di sfrenato lusso imperiale. Entrare in questo enorme salone decorato in stile neo-barocco era come fare un tuffo nel passato. Sotto il colossale lampadario di cristalli italiani, si alternavano gli antichi banconi lucidi di ottoni e di legni pregiati, sui quali, a settori, potevi trovare le squisitezze più rare e particolari provenienti da tutti gli angoli dell'impero. Dalla ricca sala dei vini, dove oltre alle più classiche vodke trovavi anche il Kognak Armeno, il pregiatissimo Ararat di 25 anni, passavi alla zona dei salumi, ricca di verietà dove trovavi i più pregiati pezzi del Mijasa Kombinat. Poco più in là sui mogani tirati a specchio, vasetti di composte tradizionali, ordinati come soldatini; sotto i candelabri dorati potevi comprare un barattolo di smijetana fresca e così via, passeggiando tra i banchi per il solo piacere degli occhi, inseguito dagli sguardi delle matrone in grembiule bianco che ti mostravano, indagatrici, i prezzi, stratosferici per i residenti che si aggiravano tristi con la sensazione del guardare ma non toccare. Che bello sognare sotto il grande orologio che scandiva le ore di un passato lontano. Ti sentivi circondato da contessine ed ufficiali in abito di gala, i cui fantasmi si aggiravano ancora guardando languidamente il bancone del caviale, con le sue centinaia di scatolette, i vasetti blu del Beluga prezioso, quelle rossa di Sevruga un po' più grossolane, le gialle del mar di Azov, il caviale rosso, le scatolette di bal'ik di cui era ghiotto il caro Zhenija, che mi ci portò la prima volta.</div><br /><div align="justify"></div><br /><div align="justify">Tra le enormi colonne in marmo colorato che si levano fino al soffitto, pesanti decorazioni in oro circondavano grandi ritratti, tra cui spiccava il suo, eccolo lì il famoso Eliseev che guarda la sua sala con occhio malizioso, come per farti capire che lui non era stupido e che ha saputo ben nascondere il suo segreto. E già, perchè la leggenda racconta che il ricco epulone, sentita l'aria che cambiava direzione, prima di far fagotto , abbia nascosto in una nicchia segreta, tra gli stucchi dorati e le colonne, tutto il suo immenso tesoro, che ahimé, non è poi riuscito a tornare a riprendere. La rivoluzione lo ha trascinato via nel gorgo della storia, lasciando soltanto lo splendido ambiente che aveva creato. Ne uscivi a malincuore, nella sera ormai scura e triste, mentre risuonavano sui larghi marciapiedi le risate dei drappelli di splendide ragazze che si avviavano verso l'Inturist ad adescarne i clienti.</div>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-27073480359434924312010-10-07T10:59:00.001+02:002010-10-07T11:01:21.996+02:00Grandi magazzini.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEja1KlFoDoU5usiW0NFlQ2ZNz4VsDCYarAFzXSFbqdE0nJzqCAjVyY7tk4P2htderXP9YjmbtpDBt3TSqijHJoJgyK1DB2W_aYonBz5CbPai5gOkpBXx-rPwoK07KqxyZ1WskqfHd6uEOAD/s1600/gum.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 267px; DISPLAY: block; HEIGHT: 400px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5525226559987046754" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEja1KlFoDoU5usiW0NFlQ2ZNz4VsDCYarAFzXSFbqdE0nJzqCAjVyY7tk4P2htderXP9YjmbtpDBt3TSqijHJoJgyK1DB2W_aYonBz5CbPai5gOkpBXx-rPwoK07KqxyZ1WskqfHd6uEOAD/s400/gum.jpg" /></a><br /><div align="justify">Quando l'autunno si fa più fresco e la nebbiolina comincia a calare dalle colline e si avverte l'incombere dell'inverno, inevitabilmente mi prende la nostalgia di Mosca e di quegli anni di cambiamento così interessanti per uno come me, che ero solo e fortunatamente un osservatore esterno. Nostalgia del freddo e delle strade fumose, di quel buio anticipato che avvolgeva la città malamente rischiarato dalla fioca luce gialla dei lampioni, della solitudine di quelle strade larghe, malandate e prive di macchine. Quando passeggiavo lentamente sui grandi marciapiedi sconnessi, con la shapka di pelo giallo calata sulla testa e la sciarpa bene avvolta attorno alla bocca, che il gelo non penetrasse diretto a darti quella sottile fitta dolorosa che segnalava una temperatura a cui non ero abituato, finivo invariabilmente sulla Piazza Rossa, dopo aver traversato con calma il grande spiazzo dell'ippodromo.</div><br /><div align="justify">Non c'era ancora il grande portale ricostruito qualche anno dopo a simiglianza dell'originale e, passato il severo edificio del museo Lenin, arrivavi sulla grande piazza quasi deserta, camminando sul selciato leggermente bombato, grigio e in attesa della prima neve. Sul fondo le guglie colorate di San Basilio, occhieggiavano a contrasto dei severi graniti scuri del tromboneggiante mausoleo addossato all'alto muro del Cremlino. Ti dava la sensazione di una sonnolenta attesa, di una minaccia di cambiamento, desiderato ma temuto al tempo stesso, quasi che le novità non potessero mai essere positive. L'unico movimento consistente era sul lato sinistro della piazza e nelle vie che lì convergevano. La gente intabarrata in cappotti lisi e dublionke spelacchiate, le donne ingolfate in vaporosi maglioni di angora cinese, arrivavano a frotte e si buttavano, per sfuggire alle folate del vento del nord, nel lungo edifico che si stendeva su tutto quel lato della piazza. </div><br /><div align="justify">Erano i magazzini GUM (Gosudarstvennyi Universalnyi Magazin - Negozio generale statale), allo stesso tempo paese dei balocchi e vetrina/immagine dell'URSS di quel tempo. L'edificio della fine dell'800, chiaramente ispirato alla moda dei magazzini La Fayette, non ne aveva comunque saputo copiare la graziosa leggerezza, ma la sua voluta grandiosità ne dava una versione pesante e provinciale, tipica di chi, potente, vuole adeguarsi a mode ed eleganza che non gli sono propri. L'edificio aveva però, nel tempo, acquisito una sua dignitosa maestosità. Entravi attraverso le triple porte sgangherate, dove una corrente simile ad un uragano soffiava costantemente. Era la differenza, a volte di 50 gradi tra interno ed esterno a renderla così violenta e costante. Così superato il passo ti trovavi di colpo, dal gelo della strada, immerso in in una atmosfera di caldo umido e sudaticcio a cui presto l'olfatto si abituava. Ti aprivi i bottoni, ti allargavi la sciarpa e subito il senso di disagio si affievoliva. Come fa presto l'uomo ad abituarsi alla puzza, al marcio, al disagio fisico a cui segue con facilità quello morale. In poco tempo tutto sembra naturale, normale, visto che se lo fanno tutti sarà giusto così. Davanti a te si apriva la prospettiva delle tre grandi gallerie coperte a tre piani su cui si apriva la sfilata dei negozi che gli avevano conferito il nome originale Verchnie torgovye rjady (serie di negozi di qualità). </div><br /><div align="justify">Era tutto un alternarsi di punti vendita del più famoso artigianato russo, inframmezzate da negozi di abiti, cappelli, scarpe ed altri beni di consumo ambitissimi dai moscoviti e nella maggior parte dei casi desolantemente semivuoti o con qualche campione polveroso, esposto malamente sugli scaffali. Eppure questa era la vetrina dell'URSS ma dei frigoriferi erano esposte solo le fotografie e tu potevi entrare e metterti in lista, dopo avere pagato naturalmente, per avere la possibilità che un giorno indefinito ti fosse consegnato il bramato elettrodomestico. Era questa, assieme alla proverbiale scortesia e scontrosità delle commesse, la sua principale caratteristica. Io me ne andavo qua e là, godendomi i punti di vista migliori, come quello dello spazio centrale, dove dalla seconda galleria dominavi la grande fontana che occupava l'incrocio con i corridoi laterali, sotto la cupola di vetro liberty. Mi godevo tutti i banchi snobbati dai russi, perdendomi tra le scatolette di Palech mirabilmente miniate, le spille di legno colorate, i grandi scialli neri ricamati a fiori, gli splendidi giocattoli di legno, i pendenti dell'ambra del Baltico, i grandi cucchiai e i contenitori in legno rossi e neri con i motivi dipinti in oro, le bambole ukraine. Mi attirava morbosamente un grande negozio dove erano ordinatamente esposte le stupende ceramiche di Djel, bianche e azzurre, dove lasciavo invariabilmente il mio obolo, andandomene col mio pacchetto avvolto in una vecchia Pravda che conteneva un piatto portauova con la tenera gallina portasale al centro o un tazza dai bordi delicati, il cui decoro era firmato da qualche sconosciuta artista. </div><br /><div align="justify">I prezzi erano ridicoli per noi che con la forza del dollaro stupravamo quella debole e traballante economia. Adesso le cose sono cambiate, innanzitutto la G di GUM non significa più Statali ma Grandi e ogni negozio esibisce le più famose griffe mondiali della moda, dei profumi, dei gioielli, del lusso, dedicata al nuovo russo. Niente più spazio per delicate ceramiche, tazze colorate, colbacchi di volpe, piccole sculture di osso siberiane, ma solo la volgarità internazionale di scarpe sportive americane fatte in Indonesia, vestiti con scritte confezionati in Cina, profumi con nomi francesi, gioielli dalla forma italiana. Avranno certamente cambiato anche le pesanti porte a vetro cigolanti e al posto del vecchio bar che serviva solo butterbrodi secchi con burro e aringa, adesso ci sarà un bel locale con aperitivi e cocktails internazionali. Però la gente continuerà a scorrere davanti alle vetrine allora vuote, adesso colme di cose che non può comperare, lanciando le stesse occhiate tristi in attesa di un cambiamento, come sempre desiderato e temuto, anche se come è sempre stato, bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga come prima.</div>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-31489945530618983282010-08-16T16:35:00.001+02:002010-08-16T16:40:47.940+02:00Recensione: Custine - Lettere dalla Russia.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMw6DUOu2j-ZLZOg2wCJuWeyOhcG15VJQ50gJrc7fz6uPPp_QWpPXAPwtZHOUCSfHjwY3XhL0bsoFQ7geono00JIk-QP5NUfi9GcMK1adduWoZZW2-EOzbrk0FAFN4YiyvsubWRE4yhv0X/s1600/Lettere.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 157px; DISPLAY: block; HEIGHT: 252px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5506017549279656706" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMw6DUOu2j-ZLZOg2wCJuWeyOhcG15VJQ50gJrc7fz6uPPp_QWpPXAPwtZHOUCSfHjwY3XhL0bsoFQ7geono00JIk-QP5NUfi9GcMK1adduWoZZW2-EOzbrk0FAFN4YiyvsubWRE4yhv0X/s400/Lettere.jpg" /></a><br /><div align="justify">Oggi voglio segnalarvi un libro di grande interesse, a mio parere, naturalmente. Si tratta di Lettere dalla Russia di Custine che ho trovato in una vecchia edizione di Fogola del 1977. Credo che non sia facilmente reperibile, per cui per la copertina mi sono dovuto servire di quella di una edizione inglese. Bene, mi direte che trovare stimolante ed avvincente un libro scritto nel 1832, è un po’ azzardato, ma in questo caso, vi confesso che ho fatto fatica a staccarmene prima della fine, anche se in effetti, le ripetizioni e lo stile un po’ ampolloso e didascalico dell’opera possono apparire a volte stucchevoli. Il nostro autore, un nobile e sfaccendato francese, aspirante letterato e diplomatico allo stesso tempo, viaggiatore accanito, intende raccontare ai connazionali cosa è la Russia del suo tempo e soprattutto come siano i Russi.<br /><br />In quel periodo il paese stava tentando di affermarsi come nuova potenza europea ed era vista con una certa sufficienza dall’Occidente che si considerava evoluto e moderno al confronto di quei parvenus barbari oltreché asiatici. Possiamo dire che si aveva della Russia una conoscenza per sentito dire, molto prevenuta e parziale, un po’ come succede oggi per la Cina. Il nostro dunque, viaggia da Mosca a San Pietroburgo per quattro mesi e sottoforma di lettere <span style="font-size:+0;"></span>giornaliere, descrive con acume ed efficacia, il paese, la gente, la corte, ma soprattutto mette in evidenza il modo di pensare e il modo di vivere del paese. Quello che rende il libro sorprendente è la serie di osservazioni che ne costituisce l’ossatura. Ebbene, se non sapessimo l’anno in cui sono state scritte, tutte potrebbero essere valide e perfettamente adeguate, sia che parlassimo del periodo staliniano, che della gerontocrazia bresnieviana, che della situazione politica attuale. Se si pensa poi, che lo stesso Custine, riferisce che le stesse cose sono valide anche per i secoli passati, non si può arrivare che ad una conclusione.<br /><br />Tutti i difetti ed i problemi che abbiamo attribuito al regime che per 70 anni è stato il Grande Impero del Male e che si ritiene causa dei disastri e degli effetti, a volte tragici, a volte comici che hanno fatto dell’impero sovietico l’emblema del fallimento di un sistema, sono invece propri da secoli di quel paese, che se li porta sul groppone, come retaggio di un passato e di una storia che rimane immutata ai cambiamenti di potere e dei vari rivolgimenti politici. Di certo questo libro sarà apprezzato da tutti coloro che hanno un minimo di conoscenza della Russia, che si ritroveranno in ogni frase ed in ogni racconto, che riconosceranno tipologie di personaggi e di situazioni, avvertendo rispondenze immediate coi fatti accaduti due secoli fa. Il povero Custine fu orribilmente snobbato dai suoi contemporanei, che probabilmente lo isolarono anche per le sue supposte inclinazioni sessuali. Così il suo libro, criticato dai letterati del tempo e caduto nel dimenticatoio per oltre un secolo, è diventato oggi un testo fondamentale per chi si interessa della Grande Madre. Se avete curiosità per l’argomento dategli senz’altro un’occhiata. </div>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com10tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-35736234247521698372010-07-24T14:15:00.001+02:002010-07-24T14:17:03.777+02:00Caldo o freddo?<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNdN3SjnIA2eqPUkS1gEsUzA39Aa-anTCD5XYaGtj1I6zWUi2BuiOAWJijaELEo1iwqNRsWKjrNO7OeHZcOvWc0VlmtZJXeb7fHB9whVDSSHmtN0EhjSKIGe0xQ4mRM7-NWbUcy6TGOa_x/s1600/ru003.jpg"><img style="display: block; margin: 0px auto 10px; text-align: center; cursor: pointer; width: 400px; height: 276px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNdN3SjnIA2eqPUkS1gEsUzA39Aa-anTCD5XYaGtj1I6zWUi2BuiOAWJijaELEo1iwqNRsWKjrNO7OeHZcOvWc0VlmtZJXeb7fHB9whVDSSHmtN0EhjSKIGe0xQ4mRM7-NWbUcy6TGOa_x/s400/ru003.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5497445617444337442" border="0" /></a><br /><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Quando fa caldo, mi vien da pensare al freddo. Non al fresco come forse sarebbe più naturale, ma proprio al freddo freddo, quello tosto che ti è capitato qualche volta e ti ha fatto soffrire. Una volta ero sempre gelato. Quando ero in montagna, gli amici mi prendevano in giro, perché ero sempre carico di maglioni e giacche a vento pesantissime, anche quando gli altri erano in maglietta; non mi facevo mancare neanche guanti e calzettoni. Poi è stata la Russia che deve avermi cambiato. Temperature micidiali e neve sconfinata tra betulle fino all’ultimo orizzonte, ghiaccio lungo i muri, stalattiti trasparenti che cadono dai tetti. Adesso non mi pare di sentirle più le basse temperature. Ho sempre caldo e non tremo più quando tira il vento gelido dell’Assietta.<br /></p><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal"><br /></p><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Inutile dire che i miei cosiddetti amici, diranno che è tutto dovuto allo spesso strato di lardo che, estendendosi sottopelle attorno al mio corpo, mi protegge come i trichechi, dai rigori invernali. E’ vero che in quel periodo ho messo su un bel kiletto all’anno ed alla fine tutto questo conta, ma non credo che sia solo una questione lipidica. Quando ero a Mosca, che strano, nei miei ricordi mi sembra sempre che fosse inverno, faceva sempre un freddo becco. Uscivi da un ambiente caldissimo, magari un po’ appiccicaticcio per l’aria viziata e dall’odore umano caratteristico, nessuno aveva certo la volontà di aprire le mezze finestre con doppi e tripli vetri per fare entrare le folate di nonno gelo <span style=""> </span>e ti trovavi sui larghi marciapiedi scivolosi di ghiaccio della Tvierskaija, mentre l’aria gelata ti penetrava sotto i vestiti prendendoti come in una morsa.<br /></p><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal"><br /></p><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Ti stringevi nella dublijonka spessa e ti calcavi ancora di più la shapka di pelo sulla testa per proteggere le orecchie, ma quando al termine di un respiro affannato sentivi un dolore secco in fondo alla gola, quello era il segnale inequivocabile che il termometro era sotto i 25°C. Non riuscivi neanche a camminare in fretta per raggiungere un luogo riparato, ristorante o albergo che fosse, i pantaloni si attaccavano alle gambe indurite, duri essi stessi come fossero di compensato spesso ed il passo si faceva difficoltoso, pesante. Poi arrivavi alla meta e che sollievo togliersi tutti gli strati di dosso, rientrando nell’aria dolciastra di un calore esagerato, asciugandosi gli occhi lacrimanti. Un alternanza di inferno di ghiaccio e di fuoco che forse forgiava il corpo, chissà, ti levava la mania di lamentarti. Quella volta, appena usciti dai padiglioni della fiera, nelle strade scure e senza luce del primo pomeriggio di un fine gennaio, non sentivi neanche l’odore pungente della benzina bruciata di bassa qualità.<br /></p><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal"><br /></p><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Il Vigilante che stava dritto e immobile vicino alla sbarra, pareva l’omino Michelin, tante giacche e imbottiture aveva addosso e tra visiera di pelo e sciarponi, si vedevano solo gli occhi sofferenti di dover resistere fuori senza neanche una goccia di vodka, battendo i piedi per non congelare. Non ci controllò neanche i pass, mentre andavamo verso la macchina. La maledetta, non voleva saperne di partire e anche lui ci venne a dare una mano a spingere, verso la leggera discesa, tanto per scaldarsi. Appoggiammo le mani dietro, ma quando la macchina partì, il mio collega si mise a gridare come un matto, non aveva i guanti e la pelle dei palmi era rimasta attaccata alla lamiera. C’erano 32°C sotto zero. Quando fa freddo, fa freddo.</p>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-993005387551372472010-07-16T09:06:00.001+02:002010-07-16T09:09:54.866+02:00Il Milione 20: Pelli d'orso.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfT_ELsPG0F5xCyPnGB6gZzUHmKyqI3Vwg6iN1Byt3dWZo4YY0_W8dlfEAg7SxhIYpW2QTPgGYNyobyULuqKClfNjNOIJyBrj0X3flAmvYOmGq3K-c21ee1xwIcVBbuMx82xhxiXrQTjCp/s1600/yh509+copia.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 400px; DISPLAY: block; HEIGHT: 256px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5494397553414066834" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfT_ELsPG0F5xCyPnGB6gZzUHmKyqI3Vwg6iN1Byt3dWZo4YY0_W8dlfEAg7SxhIYpW2QTPgGYNyobyULuqKClfNjNOIJyBrj0X3flAmvYOmGq3K-c21ee1xwIcVBbuMx82xhxiXrQTjCp/s400/yh509+copia.jpg" /></a><br /><div align="justify">I nostri amici Polo, che abbiamo lasciato tranquilli per un po'. hanno superato Karakorum e i monti Altai <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYThWxDi-ZB138AmmVdBDjDS6cTkJ3i8Lhu9g_itlpR3d18vKBb1bICuRuWC_cimWD4uYWtZN88aVQs7588NXjH9ofM0Nw6-cZY3qicJrEh2cFUxiTMKLJXzzvwuA22TdyVEjKINIjdCY/s1600/ru002.jpg"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivZo4teSorJhOgsSGT0eKfQzqQyhFAxmRmYtint6oADi6Ar94agQpqSwkXcxnUi-SMK1kyqzgd9Mrznsx7CwTbynjlR0fw3u3HI63rmS0lSq8qi8xVR0NIIxkmvHh0YAQva8TWCUnfWZIQ/s1600/ru002.jpg"></a>e sfiorando il deserto del Taklamakan, chissà che caldo, e se ne vanno verso nord in cerca di strada più agevole. Non è ben chiaro se arrivano fino al lago Bajkal, che non viene citato specificamente, però di certo Marco descrive la regione circostante, l'attuale Burjatia, che era stata attravarsata durante la variante di viaggio di padre e zio, pochi anni prima.</div><div align="justify"><blockquote><div align="justify"><br />Cap. 70 </div><div align="justify"><em></em> </div><div align="justify"><em>...una contrada verso tramontana, la qual si chiama lo piano di Bangu (Burjatia) e dura ben 40 giornate, a capo del quale l'uomo truova lo mare Ozzeano. La gente son chiamate Mecricci (i Mekrit che vivono a sud del Bajkal, nella zona di Chita, paese conosciuto solo </em><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhUSyUWEBa50OyaLEoHOIYyEGSdt8iHbVCqzPXIL2A6zi9YfuHYeVXf82W3pcB3h490zi17_oQdtkqRc4UWbenl0Ir-czmR-POOgvjQwZoyBlcKAlWattVpMtZLgmZf52499eBxoI_PTaPr/s1600/yh509+copia.jpg"></a><em>dai giocatori di Risiko) e son salvatica gente; egli vivono di besti</em><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiECpuhKOC5tnC-m27_vNPHiGBaDXnFEPnO-VYHlEJGK0Ls8zgMX5Eliq-r7Q-2GOPXGqHucMStfWB9B9ZxWG2kxZeJ1_QPucS-BAxZioa43nJMoAdc48AjgO66srhhvQIbUbB8rSUGL6c/s1600/yh509+copia.jpg"></a><em>e e 'l più di cervi. Non hanno biade ne vino; la state hanno caccia e uccellagione assai, di verno non vi stae né bestie né uccelli per il grande freddo....</em> </div></blockquote></div><br /><div align="justify">Accidenti se faceva freddo su quella riva ghiacciata del Bajkal. -32°C, mi assicurava Valentin, scrollando la testa perchè non faceva più quel bel freddo sano di un volta, mentre mi mostrava la lunga pista percorsa dai camion sulla superficie di ghiaccio spesso quattro metri che attraversava diritta l'immenso lago da una sponda all'altra. Ci voleva vendere corna di cervo e bile di orso, cose che, forse si trattavano anche 800 anni fa. Per le pellicce c'erano dei giri loschi, tutta roba che aveva già le sue strade, al pari di diamanti, petrolio e compagnia bella.<br /></div><div align="justify">Nel ristorante dell'albergo ci ordinò una Okha bollente (vedere qui la ricetta), la minestra/zuppa di pesce di lago che qualcuno dei tanti puntini neri lontani, fermi per ore sul ghiaccio davanti a un buco nel ghiaccio verde, aveva pescato. Sul fianco una bottiglia di vodka e una trivellina per bucare <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLYh_VQa0clYThxRbRnNYUFBk94CCvG5QGbk-ti99VE8IfaLzlzdDWA826eUKDmJR6E-MmWB2aDtiYvU57XAXAY1AtCc1zKvFcMYD2-KEBed_1XgYi0Z-W8DFAcwViXyE7_I7UnsWk7vTi/s1600/ru001+copia.jpg"></a>la superficie.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhzu52XjN7hY3CQnVGasf0NyeWEHPW4V-XxxQgWZZwZp0MCur7U4dSxQYBi8agaYU5pNer-aIzJoj2HIORD_IhsI2lprv8YgCli-v_GmxEBhT7Z9h99SEGqtWn3g3vjCyi6tdJTjuSQ5kE/s1600/ru001+copia.jpg"></a> I pesci presi, di fianco, già belli che surgelati, una catena del freddo cortissima. In testa pesanti colbacchi di volpe o di ondatra. Questa, lo aveva già capito Marco, è terra di pellicce e l'amico Zhenja pensa ancora adesso alle magnifiche pantofole di pelle di orso che gli riscaldavano le serate moscovite davanti alla televisione. Terra estrema, selvatica e selvaggia, piena di mistero, dove l'estate dura un giorno, dove l'uomo non è contadino, dove è subito sera e le stelle sono difficili da guardare.</div><br /><div align="justify"><blockquote><div align="justify">Cap. 70<br /></div><div align="justify"><em>...e vi dico che questo luogo è tanto verso la tramontana che la tramontana (la stella polare) rimane arietro verso mezzodie...</em></div></blockquote></div><br /><div align="justify"></div><div align="justify">Quando si dice esageriamo! <a href="http://culturacinese.blogspot.com/search/label/viaggio" rel="tag"></a></div>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-8435674505321266372010-02-08T11:04:00.001+01:002010-02-08T11:06:47.510+01:00Il concerto: recensione.Il titolo di oggi è già pomposo e pretenzioso quanto basta, ma, dato che mi portano al cinema di rado, l'occasione di ieri è stata così piacevole e divertente che non posso fare a meno di fare un cenno al riguardo. Il film di Radu Mihaileanu, regista anche di Train de vie, non poteve certo deludere e men che meno deludermi, dato lo stile narrativo che mi è particolarmente congeniale. Un racconto semplice quello de Il concerto, fondato su un topos classico, quello della sostituzione e dell'inganno, raccontato in maniera lieve ed aiutato da un montaggio indovinato che riesce ad equilibrare ed a sostenere la storia anche nei rari momenti di perdita di tensione. In breve, alla fine degli anni ottanta, il grande direttore d'orchestra del Bolshoi di Mosca, Filippov, viene destituito ed umiliato perchè si rifiuta di aderire alle imposizioni antisemite del regime e costretto a trascorrere i successivi trenta anni come uomo delle pulizie del teatro stesso. Un giorno intercetta casualmente un fax di invito, per l'orchestra del Bolshoi, da parte di un teatro di Parigi per tenere un concerto. Così comincia questa improbabile sostituzione, con l'affannosa ricerca dei vecchi componenti dell'orchestra finiti in un girone di vite miserabili, per sostituirsi agli attuali musicisti. Lo scombinato gruppo riesce ad arrivare a Parigi, dove, complice la più classica delle agnizioni, si svolgerà l'apoteosi del concerto di Tchaikovsky, ragione di vita dei vari personaggi. Il film è certamente elegante e carico di emozione nel suo svolgersi ed è particolarmente godibile, per chi come me ha frequentato la Russia di quegli anni e che potrà ritrovare con impressionante vividità e precisione, personaggi, situazioni, particolari che appaiono come macchiette, magari un po' forzate ed invece, vi assicuro, avevano un riscontro con la realtà preciso e reale. L'antisemitismo sovietico, molto presente nella società russa, la descrizione del Nuovo Russo, personaggio delle infinite barzellette, ma riscontrabile continuamente in molti ambienti, il vecchio membro del partito, ex-KGB, il colore dei diversi personaggi e delle loro vite disperate eppure, in un certo senso serene, la vodka, presenza ineludibile e costitutiva dell'intero paese, i matrimoni che, invariabilmente finiscono con la sposa ubriaca e le bottigliate in testa, anche il gruppetto di nostalgici prezzolati in Ploshad Revoluzij, alla domenica mattina, che ho fotografato anch'io, tutto apparentemente esagerato ed invece incredibilmente vero. Una serie di situazioni tragiche e divertenti che vi condurranno al gran finale con struggente divertimento. Fossi in voi andrei a vederlo, ve lo consiglio caldamente. Vi aggiungo, per stuzzicarvi, il trailer visibile su Youtube.<br /><br /><object width="560" height="340"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/v37mlwdFPbE&hl=it_IT&fs=1&"></param><param name="allowFullScreen" value="true"></param><param name="allowscriptaccess" value="always"></param><embed src="http://www.youtube.com/v/v37mlwdFPbE&hl=it_IT&fs=1&" type="application/x-shockwave-flash" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true" width="560" height="340"></embed></object>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-74561509685375742222010-01-18T10:41:00.001+01:002010-01-18T10:55:14.108+01:00L'importanza della musica.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZEFSdo47__u__GCDcvNqZ0KJVo-bWACJuvZTjH0QIaKXPW44WWZ0H6ykZRIY4SjxiKaz9ZOn5Tne3DtruIpWxKFh-CS3MmaoFIc1kGzGV59KcwXEARYgyDhxXQCK4kcyOyB2sonG8e1qU/s1600-h/enrico+1.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 240px; DISPLAY: block; HEIGHT: 400px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5428012905541780178" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZEFSdo47__u__GCDcvNqZ0KJVo-bWACJuvZTjH0QIaKXPW44WWZ0H6ykZRIY4SjxiKaz9ZOn5Tne3DtruIpWxKFh-CS3MmaoFIc1kGzGV59KcwXEARYgyDhxXQCK4kcyOyB2sonG8e1qU/s400/enrico+1.jpg" /></a><br /><div>E' inutile, volevo tenermi lontano dalla Russia per un po', ma è una calamita, ne vengo morbosamente attirato. E poi ero proprio un bel bambino, nel mio abitino grigio da prima comunione. Che c'entra con la Russia? C'entra, c'entra. Il collegamento mi è nato spontaneo dopo aver guardato <a href="http://websomethingelse.blogspot.com/2010/01/adagio-di-cristian.html">il bel video che ha postato Annarita a proposito di bambini che cantano. </a>Ora, quelli che mi conoscono sanno che ho una voce particolarmente poco adatta ad esibizioni che la mettano in gioco, eppure quando andavo alle elementari, il maestro di canto (c'era questa figura allora, incredibile) mi portava ad esempio come intonazione. Suonava in un fischiettino e io facevo "Laaaa..." e lui tutto tronfio "Ecco, sentite come si deve fare", mi portava in giro per le altre classi e io ero tutto contento. Poi credo che non si fece neanche il coro natalizio e lì finì la mia carriera di cantante, ma chi poteva dire se questa attitudine mi sarebbe mai servita nel corso dell' esistenza? Ed eccoci a Celijabinsk, una delle città siberiane più anonime e prive di interessi, appena la di là degli Urali. In un ennesimo gelido febbraio, io e Ferox eravamo alle prese con un difficile problema. In quel periodo, la Russia, essendo stata cattiva pagatrice aveva perso ogni credibilità commerciale internazionale (meditate, meditate) e ogni acquisto veniva fatto Stoprozientov predoplata (cento per cento pagamento anticipato). Ma anche quando il contratto era firmato era sempre molto difficoltoso ricevere i soldi; le carte si fermavano più volte in un meccanismo vischioso, transitando da un ufficio all'altro, mentre il cliente aspettava la merce e in Italia non si cominciava neanche il progetto se prima non era arrivata la grana. Avevamo firmato un contrattone storico, ma le settimane passavano e dei soldi neanche l'ombra, sempre in giro, rimandati da ufficio in ufficio, incastrati nella burokratija sovietica, quando arrivammo al famoso ufficio amministrativo che doveva firmare e soprattutto apporre i timbri rossi e rotondi sull'autorizzazione di pagamento. Entrammo con baldanza in un ambiente spazioso dove la capa responsabile, circondata da due indaffaratissime addette, non ci prese molto in considerazione. Ferox, dotato di un russo mirabile cominciò la sua opera affabulatoria, che fece subito breccia nella glaucopide biondona. Essere italiani è comunque un buon passepartout da quelle parti, anche se in un angolo la prima attendente non staccò minimamente la mano dal mouse e la seconda, dai lunghi capelli, continuò infervorata la sua attività. Ferox spiegò a Tanija (bisogna sempre entrare un po' nell'intimo con i Russi) la nostra impellente necessità di avere i soldi e chiarì le procedure da eseguire sulle nostre carte, ma anche se ascoltato, si avvertiva una certa sufficienza dalla controparte. Ci volevano giorni, controlli e comunque avremmo dovuto tornare tra una settimana. Chiedere era semplice ma fare tutta la procedura, non era facile come cantare una canzone. Ferox appoggiò i gomiti sul bancone e guardò fissa negli occhi colei che aveva nelle mani il nostro destino e propose: "E se ve la cantassimo una bella canzone italiana?". Istantaneamente anche Irina smise di fissare il solitario che aveva sul monitor e si girò verso di noi, mentre Natasha, le cui forma procaci erano avvolte in un morbido e pelosissimo golf cinese, cessò di limarsi le unghie, lavoro in cui era completamente assorta, ci guardò con occhi diversi e inclinò dolcemente la testa appoggiandola alla mano. Conoscendo l'affetto delle russe per Celentano, partimmo subito con Azzurro e mentre le tre grazie avevano gli occhi perduti nell'oceano della melodia, passammo ad 'O sole mio. Ferox, mentre mi faceva il controcanto, aveva estratto come per non parere i documenti dalla cartellina e li aveva disposti in bella mostra davanti a Tanija. Avevo appena attaccato Fenesta ca luciva e'mmo non luce, che già il famoso timbro tondo era comparso come per magia e calava implacabile sui fogli lasciando l'indispensabile marchio rosso del nulla osta. Le ultime note della canzone si fusero con il ticchettio del fax che trasmetteva alla banca il mandato di pagamento. Uscimmo nella neve che risplendeva in delicati cristalli al pallido sole alto nel cielo sereno invernale. Non sentivamo il freddo intenso. Due giorni dopo i quattro milioni di dollari erano nella banca italiana e i nostri progettisti cominciarono a tracciare le prime righe, l'uffico a ordinare i materiali, i ragazzi dell'officina a fare lo spazio dove sarebbe sorta la nuova linea. </div>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-23248659774071720292009-12-23T17:43:00.001+01:002009-12-23T17:45:12.815+01:00Белый Дом.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhreYudS0jNDh1FX3HeXLoEbf5P61UwOWQ-ggID6_r8xaQ41yQSwMGOmez1RG8NfD1c0BlEnYDbyMY1kTZwbu_Trw_znm2j22IMdzB35_jdG2GJ4nNLx1cYFO826sCRxDNrh7qb1SU0Dd1A/s1600-h/Casa+B.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 283px; DISPLAY: block; HEIGHT: 400px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5418473371780148466" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhreYudS0jNDh1FX3HeXLoEbf5P61UwOWQ-ggID6_r8xaQ41yQSwMGOmez1RG8NfD1c0BlEnYDbyMY1kTZwbu_Trw_znm2j22IMdzB35_jdG2GJ4nNLx1cYFO826sCRxDNrh7qb1SU0Dd1A/s400/Casa+B.jpg" /></a><br />Così arrivammo di nuovo a Mosca. Una Mosca preoccupata, impaurita, dove si sentivano crescere le tensioni sociali e politiche. Per il momento tutto era stato sedato ed i carri armati erano rientrati, ma pochi mesi più tardi, ad ottobre, ci fu un tentativo di golpe, con i deputati, capeggiati da Kasbulatov, un ceceno e quindi, già di per sé stesso, malvisto, che si asserragliarono nella Duma, la Casa Bianca di Mosca, assediata per giorni e poi incendiata. I segni di quel rogo rimasero evidenti per molto tempo, fino a quando l'edificio fu dato in appalto ai turchi per essere ristrutturato, come si vede dalla foto. Elzin ed il suo gruppo prese definitivamente in mano il paese e segnò l'indirizzo economico e politico del decennio successivo. Appena arrivati a Sheremetievo, l'aereoporto internazionale, si capiva che la struttura organizzativa e le regole del precedente ordine costituito avevano ceduto di colpo. Appena si aprì il portellone infatti, la prima persona ad entrarvi, non fu il solito poliziotto, ma nientemeno che il nostro caro Zhenija che ci veniva ad accogliere direttamente dentro l'aereo, per occuparsi di persona dei bagagli. -Di questi tempi bisogna stare attenti.- disse con tono cospiratorio. L'autista del bus, dietro compenso, ci portò direttamente fuori dell'aereoporto alla macchina che ci aspettava, saltando tutti i controlli. Ma alla macchina, con nostro disappunto erano state svitate le targhe, in quanto giudicata in divieto di sosta, con una interpretazione molto fantasiosa. Era questo il sistema utilizzato dai GAY (la polizia del traffico) per riscuotere le multe. Andammo fino al baraccotto dei vigili a trattare la restituzione che ci costò una intera scatola di sigari Garibaldi appena arrivati dall'Italia a cui Ferox teneva moltissimo, ma solo in questo modo ci furono restituite targhe e cacciavite per poterle riapplicare. data la temperatura, però, il vetro era completamente ghiacciato. Ferox andò a comprare una bottiglia di vodka al vicino kiosk e la fece colare sul parabrezza con la perizia dettata dall'esperienza, tra l'orrore dei passanti che vedevano il prezioso liquido colare inutile nella neve. Ma la vodka allora costava circa la metà dell'antigelo, allo stesso kiosk ed era molto più efficace, come fu subito dimostrato. Ritornare in centro non fu facile. Piazza Majakovsky era chiusa, bloccata da un corteo pro-Elzin; lungo la strada già avevamo dovuto fare una lunga deviazione, davanti allo stadio, gli OMON in assetto antisommossa avevano sgomberato il popolatissimo mercato, pieno di gente del Caucaso, con la scusa dell'ordine pubblico da mantenere. Era già chiaro, ma allora nessuno lo capiva, che proprio nel Caucaso si sarebbero potuti individuare futuri nemici contro cui scatenare guerre diversive e da incolpare dei guai che si stavano abbattendo sulla Russia. Il giorno dopo me ne sarei tornato finalmente in Italia, a casa, dopo 43 giorni passati in una nazione completamente nuova, carica di problemi e con poche ricette e nessuna esperienza per risolverli. Era il primo di innumerevoli viaggi che avrei fatto da quelle parti, nei quindici anni successivi, una esperienza straordinaria per tutte le persone che ho potuto incontrare, per tutte le situazioni con cui ho potuto confrontarmi, per tutte le cose che ho cercato di capire, spesso senza riuscirci, ma che mi hanno arricchito come forse nessun altro posto o avvenimento ha potuto fare. Assistere ai grandi cambiamenti con l'occhio dell'estraneo è un privilegio che può capitare poche volte nella vita. Manco da qualche anno da Mosca e posso dire con sincerità che mi manca il suo clima duro, i suoi odori impastati di sudore degli ambienti troppo caldi, il morso del gelo sulla pelle che ti fa affrettare verso un luogo riparato, gli occhi tristi della gente che esce dalla Metro al mattino, le risate amare davanti alle bottiglie di vodka, i rumori attutiti nei parchi coperti di neve. Forse non avrò più l'occasione di vedere la stella rosso rubino sulla torre Spaskaja, allora mi farò bastare la possibilità di sentire ogni tanto gli amici che la possono vedere ancora anche per me.<br /><br /> <a href="http://partners.sprintrade.com/z/26468/CD11471/"><img src="http://partners.sprintrade.com/42/11471/26468/" alt="" border="0"></a>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-84439741087293220552009-12-22T10:35:00.001+01:002009-12-22T10:36:41.285+01:00Riva lontana.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKuwLIkEFvT6rD5OlcL7HgzUtu4mS6N35wsGAXBT7cO5eqS3oZS0YXGqZ_xGXJj19UQlE0InQKaOmp3edPn2AyxmZUlVwOwEErkCor4jyZXHsxlFbtj88bpn2KSm_ItzsI7JbJ7gim_Cyl/s1600-h/bajkal+2.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 400px; DISPLAY: block; HEIGHT: 317px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5417991876968444146" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKuwLIkEFvT6rD5OlcL7HgzUtu4mS6N35wsGAXBT7cO5eqS3oZS0YXGqZ_xGXJj19UQlE0InQKaOmp3edPn2AyxmZUlVwOwEErkCor4jyZXHsxlFbtj88bpn2KSm_ItzsI7JbJ7gim_Cyl/s400/bajkal+2.jpg" /></a><br />Del nostro soggiorno ad Irkutsk, <a href="http://ilventodellest.blogspot.com/2009/01/ghiaccio-relativo.html">ho già parlato abbondantemente qui e non starò a ripetermi</a>. Mi piace soltanto sottolineare la sensazione di perdita di contatto con il resto del mondo, dell'essere in un luogo così lontano dalle mete usuali. In una terra, tutto sommato povera di presenza umana, questa si concentra tutta in pochi luoghi, quasi a creare un fortilizio dove proteggersi da una natura incombente, totalizzante, non tanto amica per la verità. Le temperature sconvolgenti per buona parte dell'anno, l'immensità sconfinata delle foreste che ti circondano fino a perderti nell'assenza di segni di riconoscimento, il terreno, un cemento di ghiaccio che per pochi giorni all'anno si trasforma in una fanghiglia collosa ricoperta da nuvole di feroci e piccolissime zanzare, rendono questi spazi difficili da vivere per chi ha avuto la ventura di esserci capitato, per caso o per forza. Il lago, immenso, è circondato da territori che, al di fuori dei locali, conoscono solo i giocatori di Risiko, la Yakuzja, Chita, la Buriazija, sono nomi remoti che richiamano solitari cacciatori di pellicce del grande nord. Avventure alla Jack London alla ricerca di scheletri di mammuth sepolti nel permafrost. La realtà è come sempre più prosaica, meno poetica. Sulla lastra di ghiaccio che ricopre il lago, spessa quasi quattro metri, passavano i camion lungo una pista lunga una ottantina di kilometri che attraversavano da una riva all'altra. Dall'alto della collina la fila del convoglio di mezzi che andava verso est pareva una coorte di formiche nere che si allontanavano lentamente. Il grande bacino, riserva d'acqua dell'umanità, è in realtà devastato da enormi complessi per la produzione di alluminio e da colossali cartiere che sfruttano le foreste del nord, inquinando l'acqua a più non posso. Ma tutto quanto avviene quasi a seicento kilometri più in su e sulle coste più meridionali del lago, nei piccoli porticcioli dove i pescherecci sembravano galleggiare sul ghiaccio, non si avverte la morsa dell'inquinamento e i piccoli insediamenti di casupole basse di legno parevano parte del paesaggio, con i piccoli fili di fumo che escono dai camini appena emergenti dalla neve. Dovemmo bere, per compiacente condiscendenza, un bicchiere dell'acqua purissima del lago, prelevata direttamente da un buco di pescatori nel ghiaccio trasparente del porto, sotto il quale si intravedeva una bicicletta e altri rottami gettati durante la breve estate siberiana. In città entrammo all'Univermag, ma la penuria di merci era pesante e pochi clienti stavano in coda davanti a banconi dagli scaffali desolantemente vuoti. Era ben rifornita solo una sezione di cetrioli in composta e quella delle pantofole di pelo. Ne comprai un gran numero per fare regalini, anche se in quel mese erano disponibili solo di misura 37. Gli alberghi erano infestati di signorine desiderose di sbarcare il lunario, di cui era difficile liberarsi, essendo la presunta clientela sempre più rarefatta. Questa del mercante sempre in cerca di femmine su cui sfogare i suoi istinti primordiali, deve essere una costante millenaria. Pensate ne parla anche diffusamente il buon Marco Polo nel Milione, vera Lonely planet del mercante in viaggio, che segnala appunto le zone e i paesi dove le fanciulle sono più gradevoli o date in disponibilità dagli stessi mariti, ben felici di favorire lo straniero apportatore di ricchezza. Illustra il Veneziano, con dovizia di particolari, segnalando anche la tipologia di dono più gradito, in genere spille o gioie varie di cui il mercante provvedevasi per la bisogna e descrive situazioni in cui le giovani meno desiderabili e che quindi potevano mostrare esposte sulle vesti o tra i capelli, meno doni ricevuti, risultavano poi di difficile collocazione. Sta di fatto che chi desidera liberarsi di questo, fastidioso se non richiesto, servizio, deve escogitare diverse strategie per starsene tranquillo, in attesa che le tigri trovino altre prede giunte assetate all'abbeveratoio. <a href="http://ilventodellest.blogspot.com/2009/07/bianco-di-betulla.html">Già, per gli appssionati dell'argomento, ho raccontato dei boomerang qui,</a> segnalo solo un altro caso simpatico in cui mostrando casualmente delle foto in cui il nostro buon Zhenija era rapato a zero, ci qualificammo come inventori e detentori unici della formula segretissima di un prodotto per una totale ricrescita dei capelli. La fluentissima e ricca chioma che esibiva il nostro al momento, era proprio la ragione per cui lo conducevamo nella nostra road map per meglio piazzare il prodotto. Questo spiegone, unito alla gentile offerta di una bicchierino di Amaretto, servì ad allontanare definitivamente le questuanti, attirate anche dall'arrivo di un gruppo di rubizzi manager tedeschi. Ma venne anche il momento di lasciare il gelo di Irkutsk per tornare a Mosca, per fare il punto della situazione, per tornare a casa. La Siberia, sconfinata illuminata dal sole, brillava diecimila metri più in basso, come un tappeto di madreperla, niellato dalle incisioni d'argento dei fiumi gelati. Un tempo infinito per sorvolare il nulla più assoluto, eppure quando arrivammo, dopo sette ore di deserto bianco, era passata solo un'ora, Miracoli del fuso.<br /><br /> <a href="http://partners.sprintrade.com/z/26776/CD11471/"><img src="http://partners.sprintrade.com/42/11471/26776/" alt="BachecaWeb" border="0"></a>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-29084195361390367832009-12-21T09:40:00.001+01:002009-12-21T09:42:24.561+01:00Letargo glaciale.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgY50HRsnWZJ4G-t4uV6trqxhstR5Bi9LFDgBA5iX39ogSpO9todRGXBB-4NIm7SJNLP50oH9lPCpvgn_R__C-5f1MeDAmWahXgqtB95y6uwxgguWzTC7Dl2ezZWW38SfvmFT2Ormqm7WqL/s1600-h/ufa5.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 296px; DISPLAY: block; HEIGHT: 400px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5417606736472169026" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgY50HRsnWZJ4G-t4uV6trqxhstR5Bi9LFDgBA5iX39ogSpO9todRGXBB-4NIm7SJNLP50oH9lPCpvgn_R__C-5f1MeDAmWahXgqtB95y6uwxgguWzTC7Dl2ezZWW38SfvmFT2Ormqm7WqL/s400/ufa5.jpg" /></a><br />Accidenti, da ieri è calato un gelo mortale, siamo stati tutta la notte a -10°C , non ce la fa neanche a nevicare. Forse nel pomeriggio scenderà pesante una nuova coltre bianca a coprire questa città, precipitata all'ultimo posto tra i capoluoghi del centro-nord, in linea quindi con la testa dei suoi vecchi abitanti, ad ottundere i rumori, le menti, le idee già poco vivaci per inclinazione naturale. Un po' come nei boschi di betulle di Jangantau, dove pareva, in quell'inverno del '93, che niente potesse interferire con la gran pace che regnava tra le alte colline. Una calma quasi letargica, dove anche i piccoli problemi del nostro impianto, si discutevano con i tempi biblici delle calde isbe sepolte sotto la neve dell'inverno russo. Lontano migliaia di verste, a Mosca era in corso una lotta feroce per colmare il vuoto di potere che si era creato, ci si batteva senza esclusione di colpi per chi dovesse prendere in mano la nuova Russia bambina e la sua ricchissima eredità, nata da poco, già così contesa dalle dita adunche dei predatori, che si accalcavano dentro e fuori dalla Duma, la casa bianca russa, antagonista del Kremlino nella battaglia dei nuovi oligarchi. Noi, come ci diceva tranquillizzante il vecchio dottore che dirigeva il sanatory, eravamo fuori dal mondo, lontano da questi giochi e nulla dovevamo temere. Come in passato, quando avvenivano questi rivolgimenti, la provincia lontana, entrava in un sonno di tipo letargico, aiutata dal clima, e attendeva il trascorrere della nottata per capire chi aveva in mano il bastone del comando e uniformarsi al nuovo corso. Tutti i responsabili politici si davano malati, in attesa delle nuove fotografie da appendere al muro degli uffici. Non rimaneva che chiacchierare di letteratura, senza esporsi troppo e riposare con calma. La banija, la sauna russa con relative vergate di rami di betulla era il luogo ideale, ma, per amor di patria, trascurerò di scendere nei particolari, tutto sommato inutili al succo del racconto, se non per puntualizzare che qui fu presa la decisione di non interrompere precipitosamente il viaggio e di confermare i biglietti, aerei questa volta, secondo la corretta alternanza che ho già precedentemente spiegato, alla volta di Irkutsk, nel cuore della lontana Siberia, sulle rive di quel lago Baijkal, letto solo sui libri, il bacino d'acqua più profondo del mondo che contiene il 20% delle acque dolci della terra. Rimanemmo ancora un giorno nella pace degli Urali, guardando dall'alto il fiume d'argento, mangiando shashliky tra una interminabile foresta di bottiglie di vodka, nella calda dacia di legno, puntualizzando il progetto che avrebbe preso vita in primavera quando l'acqua mineral-radioattiva della fonte miracolosa, avrebbe finalmente avuto il corretto imballo che si meritava per poter prendere le vie del mondo. All'aeroporto eravamo in pochi, nel cuore della notte gelata. Nella saletta internazionale dove eravamo confinati, trovammo solo un bulgaro dalla faccia da lottatore che pareva uno di quei mediatori da foro boario delle Langhe. Vendeva di tutto e girava le estremità delle Russie cercando piccoli business commerciali, una specie di rigattiere ambulante di prodotti vari, segno dei tempi. Dappertutto, in ogni tempo, le necessità che nascono, vengono subito riempite da qualcuno, i bisogni vengono coperti, se manca la carta igienica in Chukotka a diecimila kilometri da Mosca, qualcuno sicuramente penserà che conviene andarci e vendergliela. Così dovunque andrete per il mondo, troverete sempre degli uomini, all'apparenza anonimi, con una piccola valigetta in mano, la valigetta dei contratti, nera e piena di carte, di foto e di campioni che aspettano un aereo, un treno, un autobus, che attaccano bottone con i vicini, tanto per ingannare le lunghe attese. Vi chiederete cosa ci fanno in quel posto sperduto e apparentemente privo di interessi. Stanno lì, silenziosi o chiacchiericci, pensierosi, a inventarsi qualcosa per portare a casa del lavoro ad altri, che aspettano a casa, con impazienza, di cominciare a fare delle cose, a muovere le macchine, a produrre roba. L'aereo che portava ad oriente, sempre più malandato man mano che ci si allontanava da Mosca, aspettava immobile di partire sulla pista di ghiaccio nel cuore della notte. Anche noi salimmo quella scaletta, silenziosi, verso un'alba gelida, remota.<br /><br /> <a href="http://partners.sprintrade.com/z/26867/CD11471/"><img src="http://partners.sprintrade.com/42/11471/26867/" alt="" border="0"></a>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-15859322604528536142009-12-19T10:47:00.001+01:002009-12-19T10:54:21.017+01:00Vivere a Ufa.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnMhd85HizZ3pOiwLx4aedhe60T0naNXH5XoTIllqDUt5ZKlxA03UcUFfc6_Ee8G4kTkvGOm-1Jj-GBelrWgWNA9kqW4AE7FpM_zqKkzeR6nYvSpp1P4IJWrRMrvJwj32_vj7cEDBZW1qy/s1600-h/Ufa+4.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 400px; DISPLAY: block; HEIGHT: 308px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5416881785012790082" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnMhd85HizZ3pOiwLx4aedhe60T0naNXH5XoTIllqDUt5ZKlxA03UcUFfc6_Ee8G4kTkvGOm-1Jj-GBelrWgWNA9kqW4AE7FpM_zqKkzeR6nYvSpp1P4IJWrRMrvJwj32_vj7cEDBZW1qy/s400/Ufa+4.jpg" /></a><br /><div>Ufa, capitale della Bashkiria, i cui abitanti si chiamano Ufimzy, tanto per rispondere alla domanda di Popinga di ieri e non Ufologi, come suggeriva Ferox in un anelito di contatto del terzo tipo, risultava essere a quel tempo, una delle città più inquinate dell’impero sovietico. L’aria aveva un perenne sentore di fenolo e Ferox mi raccomandò di usare poco l’acqua del rubinetto, perché sulla pelle rimanevano strani e sospetti rossori. Malelelingue affermavano che il numero di nascite con deformazioni, superasse ogni altra zona conosciuta. L’impressione era un po’ quella di una zona un po’ fuori dal controllo centrale, dove le camarille locali facevano un po’ il bello ed il cattivo tempo. Gli incontri con diversi personaggi equivoci, che si spacciavano per i maggiorenti locali ce lo confermò, così come un losco personaggio, tale N. che come credenziali ci assicurò di essere stato in galera cinque anni prima per crimini commerciali. Sembrava questa una specie di medaglia al valore che contraddistingueva chi era in grado di offrire buoni affari. Per fortuna presto arrivò la macchina che ci doveva portare a Jangantau, dove, essendo arrivata la conferma del pagamento della linea di imbottigliamento dell'acqua minerale, ci attendevano alla fonte per il progetto dell'impianto. Della cosa <a href="http://ilventodellest.blogspot.com/2008/07/luna-ingannatrice.html">avevo già diffusamente parlato qui </a>e <a href="http://ilventodellest.blogspot.com/2008/12/bielije-beriosij.html">anche qui</a>, per cui, chi volesse maggiori dettagli, li troverà. Ricordo solo il nostro stupore nel trovare nel luogo, dove ci aspettavamo un capannone pronto ad accogliere il nostro impianto, una landa desolata con un tubo di acqua che fuoriusciva da un laghetto ricoperto di spesso ghiaccio verdastro. Era la famosa fonte ricolma di benefiche proprietà minerali radioattive, grazie alle quali, il vicino sanatory era pieno zeppo di curandi. Non rimase che fare la foto ricordo, davanti al cumulo di neve dove sgorgava l'acqua miracolosa mentre il capo delegazione, si sacrificava a (far finta di) bere un sorso del famoso elisir di lunga vita. Non era chiaro quali fossero i motivi dei benefici effetti dell'acqua stessa e delle cure che venivano lì praticate, ma, come ci spiegò il gran dottore capo del sanatory, c'erano almeno una trentina di teorie sugli effetti di quello che definì come un reattore naturale sotterraneo, da cui emergevano effluvi vari, tra cui il radon. Tra le altre cure sperimentali, parevano particolarmente efficaci certe sedute di vapori in cui il malcapitato veniva rinchiuso con la testa fuori, in una specie di stufa/bara fatta con dei frigoriferi finlandesi di recupero. Era la genialità russa dell'arrangiarsi e non potemmo esimerci dal sottostare alla cura, su cui però, vorrei soprassedere. Nel gran banchetto di benvenuto della sera, capimmo che i responsabili volevano da noi anche un aiuto sottoforma di suggerimenti utili a costruire un capannone degno della tecnologia occidentale che avrebbe ospitato, ma non avendo sottomano strumenti idonei, mentre le bottiglie di vodka vuote si allineavano a terra nella grande dacia di legno nascosta nella foresta di betulle, coperta di neve ma riscaldata all'inverosimile, prendemmo alcuni fogli di carta igienica, gli unici disponibili sul posto, dove fu vergato uno schema di capannone utile alla bisogna. La carta, che era robustissima essendo del famoso tipo chiamato "la vendetta di Stalin". conosciuta per rendere di un bel rosso vivo le parti interessate a causa della sua ruvidezza, funse perfettamente allo scopo e risulta che fosse inserita successivamente tal quale, nel fascicolo descrittivo del progetto. Mentre i convenuti cominciarono a rotolare come previsto dal protocollo, sotto il tavolo ad uno a uno, calò la notte pesante. Tra le montagne di Yangantau, mentre sul fondovalle il nastro d'argento del fiume formava una grande esse prima di scomparire tra le colline, regnava una pace plumbea, ma c'era nell'aria un turbamento profondo. Ieri erano circolate strane voci provenienti da Mosca. Eravamo riusciti, nel tardo pomeriggio, ad avere la linea telefonica e la moglie di Ferox ci aveva detto con una certa preoccupazione che c'erano i carri armati sulla Kutusovsky che entravano in città e non si capiva cosa stesse succedendo. Al mattino fu sospeso il segnale TV e tutte le linee telefoniche. Dovevamo essere ricevuti dal sindaco in pompa magna, ma ci dissero di rimanere alla dacia, perchè il sindaco aveva l'influenza. A questa notizia ferale e sospetta, Ferox cominciò a preoccuparsi, stava succedendo qualcosa di grave. </div><div></div>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-887437902372444252009-12-18T10:36:00.003+01:002009-12-18T10:37:32.649+01:00Mercati internazionali.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGPGRa6-H1vQhCVq5TM6FYtUNaROusKTeOimjubiIHxbecyN0Zf98w4814ab81IQ4H7sYhequykSE1U1UlclCnFnuGrha1LLHQ2R8osSHs3zUd8vqHOOR9EGs6YGsPzHXkOq6DQxi9kBTl/s1600-h/Ekat+3.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 400px; DISPLAY: block; HEIGHT: 287px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5416507734050448834" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGPGRa6-H1vQhCVq5TM6FYtUNaROusKTeOimjubiIHxbecyN0Zf98w4814ab81IQ4H7sYhequykSE1U1UlclCnFnuGrha1LLHQ2R8osSHs3zUd8vqHOOR9EGs6YGsPzHXkOq6DQxi9kBTl/s400/Ekat+3.jpg" /></a><br />Lasciammo la città segreta di primo mattino. La guardia ai reticolati ci restituì i passaporti con grandi risate e ce ne andammo a tutta velocità. Eravamo di nuovo in ritardo e ci voleva più di un'ora per la stazione di Ekaterinburg (nell'occasione Sverdlosk aveva cambiato nome), dove ci aspettava il treno delle 8 e 35. Questo era il turno in cui avevamo deciso che mai più avremmo preso l'aereo. Ripercorremmo la strada sul lago ghiacciato a velocità folle; io tenevo gli occhi chiusi, stretti stretti, mentre tutti cantavano a squarciagola 'O sole mio, forse per esorcizzare il dio dei ghiacci. Arrivammo in stazione alle 8 e mezza, appena in tempo per abbracciare gli amici, ancora un po' groggy per la serata precedente. Del treno neppure l'ombra. Zhenija era inorridito. Era impossibile che il treno della Transiberiana fosse in ritardo. Infatti. L'orario del biglietto era scritto con l'ora del fuso di Mosca, quindi eravamo arrivati con due ore di anticipo, ci spiegò il rubizzo capostazione, che subito si fece in quattro per darci una mano, anzi ci cedette la sua cameretta personale per lasciare i bagagli, assolutamente insicuri, di quei tempi, certificò con serietà, al deposito bagagli. Ci sdebitammo lasciandogli una serie di monetine italiane per la sua collezione personale. Andammo così a fare quattro passi all'esterno dove era in pieno svolgimento un gran mercatino di babuske. In una interminabile fila, un gruppo di vecchiette offrivano merci di tutti i tipi disposte su cassette di legno per tenerle sollevate dalla neve sporca. Ekaterinburg era diventato un gran crocevia di traffico di merci povere, che arrivava dalla Cina lungo la Transiberiana. Un folto gruppo di militari intabarrati con le schapke di ordinanza, con tanto di stella rossa controllavano la massa in movimento del mercato, irregolare ma tollerato, in quanto, come diceva la consuetudine del tempo, non espressamente vietato. Una fitta barriera di Zhiguly cariche di masserizie segnavano i confini di quel punto di scambio spontaneo. Una o due volte al mese, le novelle imprenditrici prendevano il treno e arrivavano fino al confine cinese dove si favoleggiava di un immenso mercato, una vera e propria città dell'oro dove tutto quanto si produceva in Cina veniva scambiato a colpi di dollari sonanti. Vestiti, scarpe, alimentari di ogni tipo, biciclette e ogni altro ben di dio che la macchina ben oliata di quella che stava per diventare la fabbrica del mondo, cominciava a sfornare a ritmi vertiginosi ed a prezzi assolutamente concorrenziali. Prezzi, che man mano che il treno si spostava verso ovest, ingrassavano, si facevano più corposi, secondo un meccanismo commerciale a lungo sconosciuto, ma ben presto imparato. A Ekaterinburg, stazione intermedia, i prezzi erano ancora sufficientemente interessanti per spingere le Tamare e le Tanije moscovite ad arrivare lì a mani nude e ripartire cariche di fagotti. Col tempo la fame di guadagno le spinse fino a Pekino, al famoso mercato dei russi, nel quartiere dietro alle ambasciate, dove ti davano il prezzo dei maglioni per un minimo di venticinque pezzi. Ci prendemmo un gelato alla panna dall'unica vecchina che ancora trattava questo buonissimo articolo tradizionale della morente industria russa, ormai circondata (vecchina ed industria) dalle bancarelle che offrivano barrette di Mars, Snickers e Rocher Ferrero, vero oggetto del desiderio dei vari adulti e bambini che si aggiravano qua e là, fermandosi immobili e con gli occhi sognanti come Hansel e Gretel di fronte alla casetta di marzapane, accarezzando con gli occhi le irraggiungibili palline di carta dorata ammonticchiate a piramide sulle cassette delle arcigne streghe. Forse anche quelli, però, arrivavano dalla Cina. Salimmo infine sul treno, che era ovviamente in perfetto orario. Ci mise tutto il giorno a scavalcare gli Urali con lunghe curve sinuose nei fondovalle, tra le colline coperte di foreste bianche. Un paesaggio da stordimento. Io stavo attaccato al finestrino, quasi ipnotizzato dal fascino di quel quadro mutevole, forse perchè ero intorpidito dal freddo, anche se coperto da maglioni e dublionka, a causa del riscaldamento che non funzionava. Arrivammo ad Ufa in Baskiria, alla sera. Giurammo che la prossima volta avremmo preso l'aereo.<br /><br /> <a href="http://partners.sprintrade.com/z/24174/CD11471/"><img src="http://partners.sprintrade.com/42/11471/24174/" alt="" border="0"></a>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-85325832885693009462009-12-17T10:30:00.001+01:002009-12-17T10:31:33.625+01:00Vodka sincera.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgA5DLyNdm69y_5_v0taFZeaG-aVEzcuKBHmsuWx_CRqcNJeM-SV0GQ95_LckIKHFl1d5jnXrOEZhdHS0q-qqgoZ_KQoxEu2Cr1JTxr47f2gS18Wmyd1nsxewz3TUgJstP474pSwz9VCBSO/s1600-h/marmo2.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 400px; DISPLAY: block; HEIGHT: 306px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5416135116047366530" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgA5DLyNdm69y_5_v0taFZeaG-aVEzcuKBHmsuWx_CRqcNJeM-SV0GQ95_LckIKHFl1d5jnXrOEZhdHS0q-qqgoZ_KQoxEu2Cr1JTxr47f2gS18Wmyd1nsxewz3TUgJstP474pSwz9VCBSO/s400/marmo2.jpg" /></a><br />Finalmente si è deciso a nevicare. Non ne poteva più da qualche giorno e ieri sera, guardando fuori dalla finestra, si intravedeva scendere qualcosa, come lungo le fasce laterali di questo blog. Non dà tristezza come quando comincia a piovigginare, dà piuttosto una sensazione di attesa positiva. Proprio la stessa che provai allora, guardando verso il lago ghiacciato, dalla piccola finestra del sanatorj di Sverdlosk 44, la sera del nostro arrivo. Era buon segno; intanto se nevicava vuol dire che la temperatura era salita, dai -25°C dei giorni precedenti e l'appuntamento alla fabbrica del marmo, previsto per la mattina successiva, sembrava promettente. Che ci entravamo col marmo, noi tappologi? Niente all'apparenza, ma in un mondo che aveva difficoltà enormi a comunicare con l'esterno, in cui la possibilità di muoversi era quasi negata, chi aveva bisogno di qualcosa si rivolgeva alle uniche persone a tiro che avessero la possibilità di comprare per soddisfare anche con un passaggio in più i loro bisogni. Quando si chiudono le porte con paletti e lacciuoli, se hai bisogno, sei obbligato a giri tortuosi ed alla fine le stesse cose ti costano di più, in soldi e fatica. Così di buon mattino, la italijanskaija delegazija si presentò alla fabbrica del marmo dove il sindaco e tutta la compagnia aspettava in pompa magna. La fabbrica era ferma perchè tutte le macchine (italiane naturalmente) per tagliare le lastre di marmo erano malandate o completamente rotte e senza possibilità di ricambi. Ora direte, ma non potevano chiamare direttamente la ditta e ordinare nuove macchine e ricambi? No, non si riusciva. Dall' URSS e da quella città chiusa agli stranieri, blindata dietro il triplo filo spinato della stolida segretezza militare, non si poteva comunicare, telefonare, chiedere. Ecco quindi la nostra funzione di salvatori della patria, che come capi commessa avremmo, raccolto le necessità, fatto preparare il progetto, approntato e spedito, infine coordinato il montaggio ed il commissioning di una linea completa per la produzione di lastre, piastrelle e così via. Il sindaco era una brava persona che molto pragmaticamente, capiva i vari problemi e aveva una sincera volontà di sistemare le cose, dotando la sua città di un polo produttivo efficiente. La sera, davanti agli spiedini che sfrigolavano sulla griglia improvvisata, dopo la prima bottiglia di vodka si aprì molto. Dietro i suoi occhi tristi avvertivi la voglia di fare cose utili, di servire la propria comunità, anche sentendo dietro le spalle le pressioni degli appetiti dei tanti personaggi che prosprano sotto tutte le bandiere, questo mondo che intreccia il politicante con il lavoro, mignatte che ti si attaccano alle caviglie come non parendo e intanto succhiano la loro ragione di esistenza. Ci raccontò di quando, giovane, era campione di biathlon e di come era bello scivolare sui solchi tracciati tra le betulle, col freddo pungente che ti pizzicava le guance, per fermarti ansante cercando di tenere ferma la carabina, mentre il bersaglio lontano si appannava davanti all'occhio velato dalla fatica. Ma che serenità, confrontata alle sedute del consiglio comunale, dove ai bersagli si erano sostituite belve fameliche da tenere a bada, ognuna interessata solo a staccare il proprio piccolo brano di carne succulenta e grandante di dollari. Firmammo il contratto <a href="http://ilventodellest.blogspot.com/2009/04/lastra-tombale.html">e della successiva visità parlai già qui,</a> per chi vuol saperne di più. Ci lasciammo quindi con i consueti fraterni abbracci che la vodka rende più lunghi e impastati, con la promessa di rivederci in Italia alla approvazione delle macchine prima della spedizione. Vennero, qualche mese dopo e naturalmente li portammo a Venezia. Dopo il consueto giro, San Marco, campanile, ponti, gondola, aperitivo per apprezzare i mosaici del Danieli, dopo tanti sospiri, gli occhi dell'amico sindaco erano sempre più tristi e mentre li salutavamo, esternando il nostro più sincero dispiacere nel lasciarli andare così in fretta, ci guardò con un mezzo sorriso pragmatico dicendo: -Non raccontate storie, tutti sanno che la cosa più bella della visita di una delegazione è il rumore dell'aereo che se la porta via.-<br /><br /><br /> <a href="http://partners.sprintrade.com/z/24739/CD11471/"><img src="http://partners.sprintrade.com/42/11471/24739/" alt="" border="0"></a>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-55082562742171697392009-12-13T11:05:00.002+01:002009-12-13T11:09:32.671+01:00Verde ghiaccio.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibmY8TwmtXno7yfPv_XWl_V03Tm4c4PGszk6k4aINknRA_9GajWXVOoJFgU9cMPU9atNdnIs9Ji0G0yKzrJ-qunIdGGlG6WqgvTfp2FEsyl8hSjrdXHgL2nsHIOdzaacjKoGaxzuhf2NIZ/s1600-h/Ghiaccio.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 400px; DISPLAY: block; HEIGHT: 385px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5414659966567585074" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibmY8TwmtXno7yfPv_XWl_V03Tm4c4PGszk6k4aINknRA_9GajWXVOoJFgU9cMPU9atNdnIs9Ji0G0yKzrJ-qunIdGGlG6WqgvTfp2FEsyl8hSjrdXHgL2nsHIOdzaacjKoGaxzuhf2NIZ/s400/Ghiaccio.jpg" /></a><br />Il giro nelle fabbriche di Ekaterinburg o Sverdlosk come ancora si chiamava, non fu molto diverso da quello delle altre città. Dovunque impianti fatiscenti che volevano essere sostituiti, riammodernati o anche completamente spostati su produzioni nuove, più efficienti e moderne. Tutti volevano entrare nella nuova era, mancavano solo i soldi, non certo la volontà. Quindi lungo e paziente lavoro a discernere il loglio dal grano, la pula dal riso, insomma, chi la possibilità di avere i dollari ce l'aveva, da chi invece sognava solo di averli. Così via, qua e là, dalla fabbrica di spumante (sovietskoije champagne) con la linea di imbottigliamento a pezzi (sapete che là lo spumante non si fa(ceva) né con il metodo Charmat, fermantazione in autoclave, né con lo Champenois, fermentazione in bottiglia, ma con un metodo brevettato russo , brrr, ancora più rapido, di fermentazione in continuo in poche ore, eheheheh, alla fabbrica di polietilene, dove lo sgarbatissimo direttore, che ci aveva invitato ad andare, ci mise praticamente alla porta dicendo che non aveva bisogno di niente e mentre uscuvamo, a testa bassa, confessò che in realtà non aveva speranza di avere soldi per una linea di sacchetti di cui aveva urgente bisogno, alla Parfumerija dove avevano in mente tutta una linea nuova di rossetti, con la necessità di un ricco set di stampi, fino alla fabbrica di occhiali che faceva terrificanti montature anteguerra, tipo tartarugone larghi un centimetro che pesavano almeno un etto cadauna senza lenti. Irina la direttrice, era la solita matrona di peso con magliettina bianca di angora cinese pelosissima (la maglietta). L'altissima architettura della massa di capello biondo che le sovrastava la testa, la faceva sembrare ancora più imponente. Chissà com'è che le donne russe, bellissime in una media veramente anomala, non appena raggiungono un posto di potere, si dilatano in tutte le direzioni in maniera proporzionale al grado? Sarà la dieta ricca di patate o la vodka dei brindisi delle riunioni di lavoro? Chissà. La nostra era però gentile e disponibile e ci mostrò con piacere tutta la produzione, ma dal tono dimesso della voce era già intuibile che il finanziamento necessario era talmente lontano da renderlo improponibile. Guardava con invidia e desiderio il baldanzoso Ferox, non certo per la sua avvenenza, ma per la leggerissima e moderna montatura dei suoi occhiali, che volle esaminare con cura, Se li passava da una mano all'altra, controllandone i particolari con la professionalità di chi conosce bene il suo campo. Ammirò con sospiri malinconici la mirabile tecnologia italiana, restituendo il reperto quasi con dispiacere, come se avesse voluto trattenerlo per meglio studiarlo, sezionandone i particolari attraverso una specifica autopsia industriale per carpirne i misteriosi segreti. Quasi non si capiva cosa ci eravamo andati a fare, poi in un attimo tutto fu chiaro Il maggiorente politico che ci accompagnava, tromboneggiando sulle doti ed i pregi della nostra italijanskaja firma e sulle grandi potenzialità industriali della città, sponsorizzando la creazione di un ufficio di rappresentanza in loco, di cui, benignamente avrebbe potuto prendersi carico, aveva solo bisogno di un paio di occhiali nuovi, che, la corposa Irina, gli fece scivolare in tasca, mentre ci accompagnava all'uscita. Il Dio minore delle piccole cose ci accompagnava sempre nei nostri vagabondaggi. Cosa stavamo cercando? Un sentore, una traccia. Eravamo come cani da tartufo che scodinzolando si aggiravano nei boschi degli Urali cercando di avvertire, anche se tenue e ricoperto dall'acre odore di marcescenza di un sottobosco antico, il delicato profumo dei dollari amici, sottili lamelle verdi con cui cospargere il risotto dei nostri delicati e tecnologici stampi. Così, vigili ed attenti, salimmo sulla Lada Niva che ci avrebbe portato a Sverdlosk 44, la città segreta tra le colline basse degli Urali, circondata dai reticolati <a href="http://ilventodellest.blogspot.com/2009/04/lastra-tombale.html">e di cui avevo già parlato qui</a>, un po' di tempo fa e a cui vi rimando. Il paesaggio innevato di questa zona è molto bello, dolce e calmo, mentre la strada percorre i fondovalle con curve ampie circondata dalle betulle fittissime e bianche . Quasi non distingui la neve dalla corteccia, se non dai piccoli segni neri orizzontali che la fendono delicatamente. Ogni tanto si incontra un piccolo specchio d'acqua ghiacciato. Vicino ad uno di questi, un po' più grande che appena si intravedeva la riva opposta, lasciammo la strada che lo circondava per attraversare direttamente la distesa di ghiacchio. Ci fermammo quasi in mezzo al lago; sotto di noi ghiaccio verde trasparente e pulito di neve dal vento tagliente che quasi smerigliava la superficie piatta. Un verde quasi smeraldino, tutto percorso da crepe inquietanti che si allargavano fino a che l'occhio, nella penombra del pomeriggio inoltrato, le poteva scorgere. Più di due metri di spessore, assicurò Kostija che ci accompagnava, ma quando risalimmo in macchina e le ruote riguadagnarono la riva scoscesa, mi sentii più tranquillo. Poco lontano, il triplo reticolato di Sverdlosk 44, mostrò un varco in cui ci insinuammo, dopo un rapido controllo dei nostri permessi. Ce ne andammo verso l'albergo in pochi minuti allontanandoci dal gate dove con mia inquietudine, avevano trattenuto i nostri passaporti. Nell'aria un profumo amico e promettente, che veniva dalla fabbrica del marmo.<br /><br /><a href="http://partners.sprintrade.com/z/24737/CD11471/"><img border="0" alt="" src="http://partners.sprintrade.com/42/11471/24737/" /></a>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-5082925153239344012009-12-12T08:55:00.002+01:002009-12-12T09:28:23.657+01:00Ali gelate.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlQTrK7Yn_DvtLolX-aok55FlF5HJovHhkZ2htAJBNeqSQFbEheDC0IZsxWgqWOenYmGCukPebbf0knwkbz0Ki-kwijgqFblGk49AjI6fbZtt7FpBxRTv1RSlngQEoTKokCiENUV4r_7KA/s1600-h/domodied.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 400px; DISPLAY: block; HEIGHT: 335px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5414255265380861058" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlQTrK7Yn_DvtLolX-aok55FlF5HJovHhkZ2htAJBNeqSQFbEheDC0IZsxWgqWOenYmGCukPebbf0knwkbz0Ki-kwijgqFblGk49AjI6fbZtt7FpBxRTv1RSlngQEoTKokCiENUV4r_7KA/s400/domodied.jpg" /></a><br />Domodiedovo è il secondo aereporto di Mosca, da dove partono i voli per l'est. Ci si arriva per una lunga strada rettilinea attraverso le sconfinate foreste di betulle che circondano la capitale, una promessa dell'infinito che ti attende al di là degli Urali. Mi dicono che lo hanno rifatto modernissimo ed efficiente, ma allora era un altissimo capannone sgangherato, affollato all'inverosimile di una umanità composita, carica di scatoloni, pacchi, masserizie di ogni tipo che si stipava in attesa del proprio volo, seduta sulle valigie. I pochissimi stranieri venivano convogliati in una saletta VIP con qualche con qualche seggiola di compensato lungo i muri, del tipo cinema di terza visione anni 50. Sbocconcellammo un pezzo di formaggio che prudentemente ci eravamo portati dall'ufficio in attesa dell'aereo, dopo i consueti taglieggiamenti della "cooperativa facchini" che ci aveva consentito il passaggio alla sala d'attesa, trasportandoci i bagagli per i dieci metri che la separavano dalla sala comune, poi, dopo un check-in virtuale ci avviammo sulla pista dove ci attendeva un Iliushin male in arnese. C'erano quasi 30 gradi sotto lo zero e l'attesa, prima che una svogliata hostess ci consentisse l'accesso alla scaletta, fu fastidiosa. Il vento gelato a raffiche, sembrava strapparti la carne dalle guance. In contrasto a poco tempo prima, in cui tutti gli aerei viaggiavano sempre al completo, salimmo, non più di una quindicina di passeggeri, guardandoci, chissà perchè, in cagnesco. Una kapo in divisa, in barba a quanto segnato sulla carta di imbarco, ci ordinò con modi spicci di sedere tutti in fondo all'aereo, per agevolare(?), disse, il decollo. C'era una tremenda puzza di pipì di gatto, ma non si vedevano felini da quelle parti. Ferox e R. tentavano di tranquillizzarmi, assicurandomi che i piloti russi sono i migliori al mondo, specialmente sul ghiaccio, ma mentre l'aeromobile rullava lungo le piste, il lucente strato che le ricopriva, mi dava un senso di malessere profondo. Lungo i bordi un numero infinito di velivoli in stato di evidente abbandono aumentavano se possibile il mio senso di insicurezza. Erano tutti mezzi utili per cannibalizzare i pezzi di ricambio per i pochi aerei che volavano. Poi i motori aumentarono il regime e con uno strappo violento l'aereo, dopo una lunga rincorsa, si alzò lentamente. Non c'erano nubi, le foreste intorno non avevano fine, ci lasciammo il sole alle spalle. Sverdlosk, sonnacchiosa e gelata, appena al di là degli Urali ci aspettava, in una bufera di neve, addormentata in un sonno profondo da quel mattino in cui 75 anni prima la famiglia imperiale veniva fucilata nella anonima periferia. Finalmente si arrivò, era il leit motif dei lunghi spostamenti, quando scendevi dall'aereo, giuravi che il prossimo viaggio lo avresti fatto in treno e viceversa. Ma l'atterraggio fu perfetto, Zhenija ci aspettava sotto la scaletta, l'avanguardia inviata a preparare la posizione.<br /><br /> <a href="http://partners.sprintrade.com/z/30668/CD11471/"><img src="http://partners.sprintrade.com/42/11471/30668/" alt="Gepas" border="0"></a>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-31419015390062929992009-12-11T10:42:00.002+01:002009-12-11T15:30:19.665+01:00Rossetti ed acqua minerale.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgHPJKn5aQtxEOAxHQSW_KhRDtiHGiSYn4SUaY60TqltRmrQdz4FB9ZgcCexFrzYQSLZwPhpUx2T68ApctyBlkaCUwaW-Ck1SXK67rAwUKkXdrn6MBWyIQoYATcKR9q1k0q8BrI17LvJtLL/s1600-h/stampi.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 307px; DISPLAY: block; HEIGHT: 400px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5413911749326774002" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgHPJKn5aQtxEOAxHQSW_KhRDtiHGiSYn4SUaY60TqltRmrQdz4FB9ZgcCexFrzYQSLZwPhpUx2T68ApctyBlkaCUwaW-Ck1SXK67rAwUKkXdrn6MBWyIQoYATcKR9q1k0q8BrI17LvJtLL/s400/stampi.jpg" /></a><br /><div>L'inverno russo è un po' un limbo perenne, in cui si passa dal buio poco illuminato della notte ad una penombra lattiginosa che dura poche ore, sempre ovattata dal bianco sporco della neve che attutisce ogni rumore, in particolare allora, quando il traffico era scarso. Anche se tutta la città era servita di teleriscaldamento, quei pochi mezzi circolanti ammorbavano l'aria. Avevi senpre in gola uno sgradevole sentore di cattiva benzina bruciata male. Tutto questo ottundeva alquanto i sensi, creando un certo torpore che leggevi chiaro negli occhi dell'umanità che, nonostante il freddo, affollava i marciapiedi, la mattina per andare sul posto di lavoro. Questo non significava certo andare a lavorare, sono due concetti radicalmente diversi. In quel periodo infatti, era luogo comune dire che lo stato faceva finta di darti uno stipendio e tutti facevano finta di lavorare. Procurarsi qualunque cosa era un po' un percorso ad ostacoli, in cui valevano solo le conoscenze, delle persone giuste e delle giuste modalità. Qualunque tipo di biglietti, sia per i trasporti che per gli spettacoli o l'ottenimento di visti o permessi, prevedeva il contatto con persone misteriose che, pagando il giusto, ti procuravano il tagliando desiderato. Così dovemmo rinunciare al viaggio previsto ad Alma Ata, non avendo in tempi utili, il visto necessario. La notizia ci giunse da Zhenija, che in pratica fungeva da trovarobe, mentre andavamo ad un importante incontro di rappresentanza al ministero del commercio, dove un personaggio di peso ci attendeva in una enorme salone con classica scrivania sovietica a T, tra un andirivieni di ancelle recanti thé e misteriosi fogli dove lui, con noncuranza, dopo aver gettato un'occhiata, vergava uno scarabocchio. Quello era certamente un uomo di peso (almeno 150 kg) in classica grisaglia, che scese dal trono per abbracciare e baciare il tenero Ferox, cercando di metterci a nostro agio. Di certo, l'accreditamento ed i precedenti della nostra azienda, che era una delle pochissime, allora, ad avere un accreditamento ufficiale, aiutava, ma, come mi fece poi notare Ferox, si avvertiva un certo qual cambiamento nella condiscendenza con cui il mammasantissima ci trattava stavolta. Si complimentò per le nostre realizzazioni e mentre si parlava del più e del meno, non perse occasione per far scivolare tra le pieghe del discorso la sua famigliarità con Craxi, De Michelis e compagnia bella. La prendemmo come un cambiamento dei tempi ed in ogni caso ci diede interessanti dritte su nuovi contatti da prendere. Il suo occhio era vivo e attento, a dispetto della mole, come di chi sente il branco di iene che ha ormai circondato la tana del vecchio leone in difficoltà e ha ben compreso che è il momento di cercare nuove piste su cui svicolare per evitare i pericoli e rimanere a galla nella battaglia di potere appena scatenatasi. Ce ne andammo dopo un'oretta. In ufficio ci aspettavano, anche se avevamo cercato di evitarle, altre due iene, i padroni dell'appartamento, una coppia che nella privatisazija, da inquilini ne erano rimasti proprietari con un riscatto nominale. Trasferitisi in una piccola dacia nei dintorni di Mosca, campavano dell'affitto ed ogni mese arrivavano come sanguisughe richiedendo un aumento delle prebende che superavano ormai ampiamente i 2000 dollari. Un vero furto. Sembava una coppietta di tranquilli pensionati dediti alle pratiche dell'orto, invece seduti dietro il tavolo della cucina, non mollavano l'osso, sapendo che ci eravamo ormai impiccati con la nostra stessa corda, avendo completamente ristrutturato a nostre spese i locali. Pretesero altri 200 dollari adducendo inesistenti spese di manutenzione, pena lo sfratto immediato. Temendo l'arrivo dei picciotti, Ferox aderì obtorto collo al taglieggiamento e i due banditi se ne andarono a braccetto, dondolandosi lungo le ampie scale imperiali al buio, essendo rotto l'ascensore e tutte le lampadine rubate. Risolta la pratica andammo all'aereoporto ad accogliere R. che arrivava dall'Italia carico di materiale. Anche qui bisognava conoscere le segrete strade. Trovata infatti una vecchia amica che apprezzò particolarmente la scatola di Rocher Ferrero che avevamo casualmente con noi, ci fu permesso di entrare nelle aree speciali dove facemmo transitare facilmente tutto il materiale, evitando pratiche burocratiche infinite che, nella maggior parte dei casi si traducevano nel sequestro di parte della merce. Ansiosi di saper le ultime notizie italiane arrivammo in ufficio appena in tempo per sentire il ticchettio del telex che batteva due fondamentali notizie. La prima ferale, comunicava che l'affare degli stampi per i rossetti ed i mascara su cui speravamo tanto era sfumato a favore di una ditta coreana, l'altra, che da una finanziaria canadese erano arrivati i soldi per la prima linea di riempimento di acqua minerale e che il contratto poteva partire senza altri indugi. Grandi festeggiamenti; dalla cucina Angela arrivò con una cofana di spaghetti appena scolati, il parmigiano, appena arrivato dall'Italia, come se piovesse e lo stappo di una bottiglia di champagne (bulgaro) segnò il successo dei nosti sforzi. Ma le valigie erano pronte, dopo due ore eravamo già all'aeroporto secondario di Domodiedovo dove un rabberciato Ilijushin ci avrebbe portato prima di sera a Ekaterinburg che, anzi ancora si chiamava Sverdlosk.</div><br /> <a href="http://partners.sprintrade.com/z/26088/CD11471/"><img src="http://partners.sprintrade.com/42/11471/26088/" alt="" border="0"></a>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-59251882082656046302009-12-10T10:11:00.000+01:002009-12-10T10:12:42.553+01:00Notte allo Spiektr.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKEiYqNEFQOF8WPU93JtOYGILw5VrTRFmsdsAifS_reTtZ2yeuxMs1rmsA4A0ZKJYNAev9sk4PKLtLBJazSXAOPCVb1qcFLa9aEjwhq4yX9wbnVRGldA2nWWRLFHhr8iQZ7cYOOz-URnKz/s1600-h/nella+metro.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 262px; DISPLAY: block; HEIGHT: 400px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5413532739594279362" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKEiYqNEFQOF8WPU93JtOYGILw5VrTRFmsdsAifS_reTtZ2yeuxMs1rmsA4A0ZKJYNAev9sk4PKLtLBJazSXAOPCVb1qcFLa9aEjwhq4yX9wbnVRGldA2nWWRLFHhr8iQZ7cYOOz-URnKz/s400/nella+metro.jpg" /></a><br /><div>Eravamo dunque tornati a Mosca. Dopo quasi un mese di viaggio in cui avevamo attraversato l'occidente dell' URSS, dopo sette notti passate sui treni, dopo aver tastato il polso, malato, di un paziente che si era preso una bella botta e non aveva ancora capito se sarebbe guarito o se era destinato a perdersi completamente, ritrovavamo una Russia diversa, preoccupata ed incerta sul futuro, con le stazioni della metro che si popolavano di una nuova fauna di anziani in cerca di qualche mezzo di sostegno, vendendo qualcosa, disegnando ritratti o facendo qualcosa di completamente sconosciuto prima, chiedere semplicemente l'elemosina. Mosca, però, non aveva perduto l'appeal del centro dell'impero e mi pareva davvero di essere tornato nella civiltà. Nell'appartamento che ci fungeva da ufficio, in un bel quartiere di case antiche (e le scale con tutti i gradini regolari) il rumore della macchina da scrivere di Angela aveva un suono familiare ed il ticchettio del telex, ti faceva sentire vicino al mondo come lo conoscevi. Rivedemmo parecchia gente che avevamo conosciuto nel giro e che si erano precipitati a Mosca per definire qualche progetto, dal Coreano, un intrallazzone con due fessure sottili al posto degli occhi, che non beveva mai vodka, a Kostija che avevamo conosciuto in treno e che voleva rappresentarci a Stavropol, a Kiril con i suoi problemi della linea di riempimento della vodka, a Marat che ci guardava inorridito mentre brindavamo al suo prossimo matrimonio, divorando spesse fette di salame italiano, senza pensare che lui era mussulmano osservante. All'imbrunire andai a Novodevichy, il monastero delle vergini, silenzioso e coperto di neve. Bellissimo e cristallizzato nel gelo della sera; deserto e silenzioso col suo cimitero con le lapidi dai nomi famosi, Scorrevano davanti a me, anche se cercarli costò un po' di fatica <a title="Cechov" href="http://it.wikipedia.org/wiki/Anton_Pavlovi%C4%8D_%C4%8Cechov" target="_blank">Cechov</a>, <a title="Eisenstein" href="http://www.imdb.com/name/nm0001178/" target="_blank">Eisenstein</a>, <a title="Bulgakov" href="http://it.wikipedia.org/wiki/Michail_Afanas" target="_blank">Bulgakov</a>, <a title="Gogol" href="http://it.wikipedia.org/wiki/Nikolaj_Vasil" target="_blank">Gogol</a>, <a title="Stanislavsky" href="http://en.wikipedia.org/wiki/Constantin_Stanislavski" target="_blank">Stanislavsky</a>, <a title="Khrushchev" href="http://en.wikipedia.org/wiki/Nikita_Khrushchev" target="_blank">Khrushchev</a>; che emozione camminare in questi luoghi. La storia russa al completo, che 'a livella aveva confinato in questo lembo di terra coperto di bianco. Me ne tornai in albergo tranquillo dopo una visita ad un Berioska, uno dei negozi per occidentali che stavano per essere sorpassati dalla storia. Alla mia visita successiva, non li avrei più trovati, tutti sostituiti da profumerie dai nomi occidentali e pieni di griffe famose. Anche l'albergo era cambiato. Non eravamo più al tetro Pekin, uno dei sette grattacieli staliniani in stile neoassiro, brutte copie dell'Empire State Building, ma in una delle nuove realtà del cambiamento, un alberghetto "commerciale", tutto quello che era di iniziativa privata era chiamato così. Si chiamava Spiektr, un nome una garanzia. Una decina di camere in una casetta antica e bassa a due piani, il vero opposto del falansterio sovietico in stile pensione Mariuccia. Le tenutarie erano due sorelle di enormi e generosissime dimensioni, agghindate come alberi di Natale, che vestivano sempre camicette bianchissime di pizzo, stirate con cura, anche se di puro poliestere che emanava tremendi sentori corporei anche a buona distanza, a causa del calore torrido che regnava tra quelle mura. Era imbarazzante, anche se compensato dai grandi sorrisi che Tanija e Irina dispensavano portando i cetrioli e la smijetana per la colazione. Il luogo era tranquillo ed aveva un non so che di familiare e, anche se un gruppo di coreani della Samsung che lo popolavano, aveva l'abitudine di giocare a Gim tutta la notte, ti dava una sensazione di calore. Al limite bastava spegnere un po' i termosifoni di notte per non morire arrosto. Riuscii anche ad avere una telefonata con l'Italia (non c'erano ancora i telefonini allora) ma sentire la mia bambina che piangeva perchè non tornavo ancora a casa, mi mise una gran tristezza. Andai a dormire presto, l'indomani arrivava R. dall'Italia e dovevamo prepararci per il giro in Siberia. </div>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-73528356732182481602009-12-05T10:22:00.001+01:002009-12-05T10:24:26.717+01:00Rosa salmone.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhD5wPLysc4uoakK_l9yjfGGo6Z6n9KjFp9004c4HadaelDPzfDB-l7L6aXHfzJ0rcg0H-uomcFkqme65tG-C5gxqcW4UrLm-gSITtpMIIxsoHmd6vv5GULm0Mpt2gAHMWgXn4ICW9TJMmg/s1600-h/mausoleo.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 269px; DISPLAY: block; HEIGHT: 400px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5411680274740423202" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhD5wPLysc4uoakK_l9yjfGGo6Z6n9KjFp9004c4HadaelDPzfDB-l7L6aXHfzJ0rcg0H-uomcFkqme65tG-C5gxqcW4UrLm-gSITtpMIIxsoHmd6vv5GULm0Mpt2gAHMWgXn4ICW9TJMmg/s400/mausoleo.jpg" /></a><br /><div>Lasciammo Riga che era già buio pesto e si arrivò subito alla frontiera creata da pochi giorni. Erano le due di notte. Qui capitò l'avventura più preoccupante dell'intero viaggio, <a href="http://ilventodellest.blogspot.com/2009/03/lettone-o-lettone.html">ma avendone già parlato qui,</a> ricordo solo che si corse il rischio di rimanere per sempre nei due kilometri di terra di nessuno, in mezzo alla neve, in pigiama, a meno venti. Lo scampato pericolo, provocò una sorta di choc termico al povero Eugenio che prima di prendere sonno, mi fece vincere due partite a scacchi di seguito, cosa mai più accaduta in seguito. E finalmente fummo a Mosca, dopo quasi un mese in cui avevamo percorso tutta la parte occidentale dell'Unione Sovietica. Ne eravamo partiti quando era capitale dell'URSS e ne ritornavamo che era diventata capitale della Russia. In quelle tre settimane si era sfaldato un impero, sulla carta, seconda potenza del mondo, ma corroso nelle fondamenta da una marcescenza a lungo nascosta sotto il tappeto e sulle sue ceneri erano nati 15 stati, economicamente sull'orlo del baratro, nel quale precipiteranno rapidamente i più deboli tra questi e dal quale i più ricchi di materie prime (Russia e Kazakistan) vedranno il fondo prima di preparare una lentissima risalita decennale, colma di situazioni terribili per la gente comune, che in fondo aspirava soltanto a trovare dei negozi dove comprare un paio di jeans. Non fu loro risparmiato nulla nel decennio successivo, iperinflazione che distrusse tutti i risparmi e annullò i redditi di pensionati e poveracci, chiusura della maggior parte delle attività economiche, crescita esponenziale delle malavite, con una insicurezza impensabile fino a pochi anni prima, finanziarie piramidali che spolparono i pochi soldi rimasti, la crescita e la presa di potere dei furbi e di molti malandrini e soprattutto una depressione psicologica senza pari, derivata dalla presa di coscienza dei fatti, quella di essere precipitati dall'essere il secondo impero del modo (in lotta per diventare primo) alla constatazione di essere al fondo della classifica del benessere. Capitali occidentali arrivarono, ma per entrare e salvare le fabbriche che facevano missili, le riciclavano in linee di riempimento della Cola; gente di tutto il mondo, interessata e volpina, giunsero a spiegare loro come erano sciocchi e incapaci, pifferai che indicavano la giusta strada, gatti e volpi che conducevano i neofiti del mercato ai nuovi e promettenti campi degli zecchini. Una gigantesca frittata si rivoltò in un paio di mesi e chi non aveva la forza, la capacità di adeguarsi subito e di seguire il carro Tespi della nuova era, fu travolto senza pietà. Lacrime senza sangue, si direbbe e più che un crollo fu come un afflosciarsi su sè stessi ad esasperare la vena malinconica ed autocommiserativa del comune sentire. Dappertutto si avvertiva il timore del nuovo, perchè era ormai chiaro che non sarebbe stato il paradiso sognato e fatto credere da Gorby, ma la nuova terra di nessuno, nata dal golpe di Elzin e della sua ghenga di furbacchioni. Un far west selvaggio dove sarebbe partita una fase di primo stadio del capitalismo, con una accumulazione primaria di nuove colossali fortune. Questo spiega molto bene il fatto che Gorby non goda di alcuna simpatia in Russia, contrariamente a quanto si crede da noi e non ho dubbi che sarà ricordato laggiù come colui che ha distrutto la potenza sovietica in cambio di nulla e forse per questo è così popolare in Occidente. Con tali vibrazioni ritornavo sulla Piazza Rossa, il cuore di tutto questo, dove al posto della bandiera rossa, sventolava ormai il nuovo tricolore ed proprio lì che appariva evidente il cambiamento epocale. Di fronte alle mura antiche del Cremlino, i marmi severi e scuri del mausoleo in cui riposa tuttora il cosiddetto salmone (dal colore incredibilmente rosato che gli imbalsamatori hanno voluto dare alla salma) che, fino a poco prima era perennemente assediato da una lunghissima fila di persone che passavano ore in silenzio, battendo appena i piedi al gelo per poter passare per pochi minuti davanti al cadavere mummificato di Lenin, dominavano uno spazio completamente deserto. Solo i due militari scandivano col passo cadenzato il rito del cambio della guardia. Lo stesso silenzio di prima, dove il vuoto assoluto aveva però sostituito il tronfio orgoglio di un fallimento annunciato. Passeggiai a lungo sulla piazza deserta, la stella rosso rubino brillava sempre sulla torre Spaskaija, ma la neve che scricchiolava sotto le suole aveva un suono cupo e le basse luci della Tviershaija lontana, non riuscivano ad alleggerire il buio della notte incombente. </div>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-84253340093020756392009-12-02T09:54:00.000+01:002009-12-02T09:56:05.950+01:00Pompe baltiche.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj24O1DpwQxpoKloo-9TBEEcb5N4dvSnQVK3i0Zzzwww4WoduTfYmlGCAiBHpwV45_n-oRxNJn-8DgpPgpoofs3X2EzHJJohfAeAJW-EdxXruOC7zoa3tkzHTcUdR9LW6yusQd-DjTheZgR/s1600-h/riga2.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 400px; DISPLAY: block; HEIGHT: 323px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5410559725678697762" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj24O1DpwQxpoKloo-9TBEEcb5N4dvSnQVK3i0Zzzwww4WoduTfYmlGCAiBHpwV45_n-oRxNJn-8DgpPgpoofs3X2EzHJJohfAeAJW-EdxXruOC7zoa3tkzHTcUdR9LW6yusQd-DjTheZgR/s400/riga2.jpg" /></a><br /><div>Dopo una notte di tregenda, al mattino ero un cadavere che cercava di camminare. Ferox che avevo scioccamente deriso, ben comprendeva la mia difficile posizione nell' equilibrio costante di una espulsione antero-posteriore a seconda dei momenti. Comunque attraversammo a piedi, in qualche modo le strette stradine del vecchio centro di Riga per un importante appuntamento. Si trattava di pompe. Anzi di pompette. La signora Sefaranova, direttrice della fabbrica di profumi, come tutte le donne di potere sovietiche, strabordava da ogni lato ed era dotata di una notevole cofana di capelli biondo cenere che la rendevano ancora più imponente. Accomodatici nella grande sala riunioni, la schiera delle aiutanti provvide ad esibire la serie dei nuovi prodotti. Mentre veniva servito un thé dorato come l'ambra del Baltico, una vera panacea per il mio apparato gastroenterico, assieme a legnosi biscotti lettoni, esaminammo la serie delle boccettine, che avevano un apparenza decente, in linea, volendo giudicare con buona volontrà, con i criteri estetici occidentali, fine ultimo a cui sembrava ormai tutti volessero tendere. L'azienda era nostra vecchia cliente di pompette e spruzzatori per profumi, i cosiddetti "finger sprayers" , prodotti tecnologicamente non banali come potrebbe sembrare al profano; ma la concorrenza era entrata a piedi uniti e ormai anche il vecchio mondo sonnacchioso dell'orso sovietico, che prima si accontentava delle strette di mano e delle pacche sulle spalle, voleva discutere di prezzi. Robe da matti. I coreani erano arrivati all'attacco e avevano fornito una partita di pompette di prova ad un prezzo stracciatissimo, un terzo del nostro in verità, ed il contratto era in pericolo. La prendemmo alla larga, mentre la trombona magnificava la qualità delle pompe con gli occhi a mandorla, rigirando tra le mani i flaconcini, da cui emergeva un olezzo potente di muschio e vetiver. Fortunatamente la potente aggressività del liquido ebbe un effetto collaterale lenitivo sulla mia nausea e sul mio equilibrio espulsivo generale, mentre la discussione procedeva. Continuammo a magnificare la qualità di quelle delicate essenze, dichiarandole pronte per il mercato occidentale, cosa che aumentò il numero dei denti doro resi visibili dall'allargarsi del sorriso di Irina, come la chiamava confidenzialmente Ferox, senza criticare la qualità delle pompe nemiche, come impone l'astuzia commerciale di ogni buon venditore che si rispetti, senza perdere occasione per mostrare, come per non parere, le qualità decisamente superiori del nostro prodotto. Tra un complimento ed un oh di ammirazione, la massa di carne tremula come un budino, a stento trattenuta da pesanti misure contenitive, a poco a poco si sciolse e confessò senza condizioni, che effetivamente le malefiche coreane costavano poco, ma perdevano da tutte le parti, non certo come i magnifici e fidati italijanskye pulverizatory. Accettò così il piccolo aumento che ci meritavamo e ce ne uscimmo a riveder le stelle carichi di boccette omaggiate che, una volta in Italia, alcune mie perfide ma amatissime colleghe, sparsero in abbondanza su un mio maglioncino per scherzarmi, ma il tanfo era talmente lontano da quello che si considera un profumo femminile, che Tiziana lo prese per normale puzza di treno russo. </div>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-44174517185889854332009-11-28T09:25:00.000+01:002009-11-28T09:26:57.674+01:00Giallo ambra.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgjPmgvEgWhArDOzSBRVpNNwUTlbKO-kVIotU3hGskMSE1dZM_2Ffp-qSVSOnJ9oU-jzw35TH8q8wcSAXg_l9bwotdLowO_4fqror_TJObAWQJcOICTTYDS35b98NnA5Q6ZdPYgyK82bVO/s1600/Riga.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 400px; DISPLAY: block; HEIGHT: 306px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5409067980652727922" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgjPmgvEgWhArDOzSBRVpNNwUTlbKO-kVIotU3hGskMSE1dZM_2Ffp-qSVSOnJ9oU-jzw35TH8q8wcSAXg_l9bwotdLowO_4fqror_TJObAWQJcOICTTYDS35b98NnA5Q6ZdPYgyK82bVO/s400/Riga.jpg" /></a><br /><div><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEht0sIQomhys2GFsE85XOxxomxobVsoaDAk8rzu5EuRY1yMblYm39SWSBPPq4W3qL5GYx7n17NMSOgKhEYbpXBsFXsDRpCf-DE0z0t2Dnfd4YEa8MKgkHR9eQnjjh1vz7Mloo_X0GJeOjk/s1600/Riga.jpg"></a>Riga, decisamente non era una città sovietica. Il centro vecchio, molto ben conservato, con le sue piccole vie contorte, le piazzette bordate di case colorate, le guglie filanti delle chiese, insomma un colpo d'occhio molto gradevole. Passeggiare per la città ti faceva sentire in una delle tante città del nord europeo con gli scuri pomeriggi invernali ed i lampioni gialli ad illuminare ancoli antichi, selciati irregolari, facciate storiche. Qui il processo di de-sovietizzazione aveva marciato più in fretta, lo si vedeva dai molti nuovi piccoli negozi, dai locali che sorgevano come funghi, nel ristorantini che avevano preso un'intonazione mitteleuropea con orchestrine di archi e un tentativo di servizio svolto con più accuratezza. Inoltre stava accadendo una cosa che lasciò perplesso Ferox e inorridito Zhenija, molti si rifiutavano di parlare russo. Al contrario degli altri stati russi dell'impero che stolidamente cercavano solo un'indipendenza dal potere centrale, per consegnarsi alle camarille locali e sprofondare in una debolezza economica che li avrebba condotti ad un futuro di lacrime e sangue, qui la mentalità era quella della colonia che si stava affrancando da un colonizzatore, riprendendo in mano il pallino e il modus vivendi di un passato ancora recente e ben chiaro nei ricordi di molti. Già saltavano agli occhi, le nuove discriminazioni che si stavano creando, la marginalizzazione, che diventò nel futuro immediato, una vera e propria persecuzione nei fatti, verso la minoranza russa che si era lì trasferita in circa 50 anni e che si intravvedeva già bene, proprio nel rifiuto di quella che era stata la lingua ufficiale. Non a caso le tre repubbliche Baltiche furo quelle che per prime si staccarono ufficialmente a tutti gli effetti dall'impero e diedero inizio alla sua disgregazione. Anche Zhenija cominciava a capirlo e si chiedeva pieno di dubbi: - Ma allora non potrò più venire a riposare a Jurmala?- riferendosi alla lunga e bellissima spiaggia, classico luogo di vacanza sul mar Baltico, un tempo già frequentato dagli Zar, poi popolato da sanatory pieni di lavoratori meritevoli. I tempi erano maturi per un drastico cambiamento, ma Riga rimaneva sempre bella, specialmente dal mare, proprio il mare davanti a Jurmala o quello davanti all'estuario della Daugava, completamente ghiacciato per kilometri. Che sensazione strana, quella di camminare sulla banchisa nel primo pomeriggio, mentre già la luce stava scendendo e le ombre del pallidissimo sole nordico, già lunghissime, svanivano fondendosi con l'oscurità incipiente. Anche la riva era coperta di ghiaccio increspato come il mare, quasi che le onde stesse, scivolando sulla rena avessero voluto mantenere una forma che ne manteneva la memoria, quasi che il freddo avesse congelato l'idea di onda prima che quella dell' acqua. Una riva del mare in cui i cercatori scovavano l'ambra del Baltico, anche in blocchi enormi di alcuni chili, oppure in piccole gocce dall'apparenza tondeggiante ed irregolare, alcune quasi bianche e dorate come il miele di acacia, come lattiginose, altre più scure, trasparenti e traslucide come quello di castagno; qualcuna con piccole inclusioni, insetti o pagliuzza che ne accrescono il valore e la bellezza. Qui è il regno di questa resina fossilizzata e si trovavano facilmente oggetti e lavorazioni in questo materiale, così ci si poteva sfogare negli acquisti dei regalini da portare a casa prima di una gradevole cenetta a base di salmone su letto di patate e crema di gamberetti, in un piacevole ristorante, mentre un quartetto di belle signorine suonava Mozart su una piccola pedana laterale. Ma non tutto era ancora collaudato e a punto. Appena rientrati, la vendetta di Odino si abbattè su di me col martello di Thor che mi percosse duramente stomaco e ventre. Un andirivieni continuo mi costrinse per tutta la notte, ad una conoscenza biblica del water di quel pur gradevole alberghetto. Un contrappasso duro da digerire in tutti i sensi per aver troppo assaporato il ritorno alla civiltà. </div>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2198456203170353452.post-90058404145815449752009-11-27T10:27:00.001+01:002009-11-28T09:50:39.119+01:00Bakshish radioattivi.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCddEZqgyj5N3fQ1MO663iJt7oOSIBU2C7XDyqCTSaQ87xtekFIevAbra22bamL84nNob6T8D86o12JH26HE4jqV26JpDTQgBVPkuEg_PTTdLOJ0QYYR2J-iR8wktH_jJruYOwwCZ26twd/s1600/minsk.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 400px; DISPLAY: block; HEIGHT: 280px; CURSOR: hand" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5409074223276806146" border="0" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCddEZqgyj5N3fQ1MO663iJt7oOSIBU2C7XDyqCTSaQ87xtekFIevAbra22bamL84nNob6T8D86o12JH26HE4jqV26JpDTQgBVPkuEg_PTTdLOJ0QYYR2J-iR8wktH_jJruYOwwCZ26twd/s400/minsk.jpg" /></a><br /><div>Il passaggio vicino a Ciernobil lo avevo vissuto con un certo brivido, se devo essere sincero, mentre invece notai, negli scambi di idee sull'argomento, che in quel mondo, si guardava a questi fatti con un occhio molto distaccato e possibilista, nel senso che se c'erano delle situazioni o dei lavori pericolosi, ma necessari, qualcuno doveva pur farli e la questione si esauriva con uno stipendio maggiorato. Tutto ciò era legato anche ad un certo trombonismo diffuso, per cui la forte fibra dei lavoratori russi se ne faceva un baffo delle radiazioni o delle emissioni venefiche di certe aziende chimiche e che tutto si poteva guarire con delle buone bottiglie di vodka. A Minsk, sottovento rispetto a Cernobil, anche se a 600 kilometri di distanza, vedevano la cosa con un po' più di preoccupazione, ma sempre con una certa rassegnazione. Anche qui, la situazione economica sembrava allo sfacelo, forse ancora più che in Ukraina, ma un più stretto legame con Mosca aveva suggerito di denominare la nuova moneta Rubley, forse per non spiazzare troppo i Bielorussi. Non vi tedierò raccontandovi della proposta che ricevemmo per finanziare un impianto per la produzione del furfurolo , partendo dallo sfruttamento delle bagasse esauste, anche <a href="http://ilventodellest.blogspot.com/2009/06/bianco-zucchero.html">perchè ne ho già parlato qui, rimango comunque a disposizione per eventuali spiegazioni tecniche.</a> Voglio invece rimarcare la sensazione di squallore che dava la città, completamente rasa al suolo durante la guerra e ricostruita frettolosamente con una serie interminabile di parallelepipedi grigi e cadenti simili a quelli della periferia di Berlino Est, anche in pieno centro. Il nostro contatto, Vladimiro che, come secondo lavoro faceva l'accompagnatore della locale squadra di calcio, ci portò ai vari appuntamenti con la sua Zigulì attrezzata di tutto punto, incluso un radar che segnalava con un ticchettio accelerato, una specie di contatore Geiger, la presenza delle auto della polizia in agguato in ogni angolo ed ansiose di raspare soldi ai pochi privati proprietari di auto. Infatti, non appena avvertimmo il pigolare dell'apparecchio, rallentò vistosamente, giusto in tempo per potersi fermare senza scivolare sul manto nevoso, alla esposizione della paletta di stop di una pattuglia acquattata dietro un cumulo di neve sporca. Venuto però meno l'argomento della velocità, ci contestarono la mancanza di cinture di sicurezza, oggetto introvabile in URSS, ma evidentemente obbligatorio. Pagammo con un mazzetto di rubley che scivolarono nella capace tasca del Gay (è la sigla della polizia stradale, non pensate male) che purtroppo aveva finito il blocchetto delle ricevute, ma ci aiutò a rimetterci in strada con un ampio gesto del braccio. Come avevamo previsto la Russia Bianca poteva dare assai poco in termini di scambi commerciali e arrivammo in anticipo alla stazione per passare l'ennesima notte sul treno per Riga. Purtroppo, Valery doveva aver combinato qualche pasticcio per i nostri biglietti ed la capavagone sembrò irremovibile, il treno era al completo ed i nostri biglietti non valevano per qualche motivo misterioso. Mentre confabulavamo sul da farsi, una vecchina di fianco a noi cominciò con un pianto sommesso a pregare il cerbero. Doveva essere assolutamente a Riga il giorno dopo per un funerale e anche lei stringeva tra le mani un biglietto, evidentemente della categoria di quelli non valevoli, come il nostro. Le lacrime scendevano copiose, ma con l'alterigia del potere conferito dal cappello con visiera e dai gradi esibiti sulle mostrine, la poverina fu rimproverata aspramente e respinta senza pietà. Se ne andò muta e china, borbottando maledizioni. Cominciai a paventare che saremmo rimasti a Minsk per sempre, mentre il vento gelido da sud avrebbe continuato a spalmare su di noi il Cesio e lo Stronzio che volavano liberi e leggeri nell'aria come coriandoli nel carnevale radioattivo. Prendemmo da parte la donna, chiarendo subito che non volevamo certo sottrarci ad un corretto pagamento dei biglietti, pur di trovare la persona giusta per farlo. Subito si rabbonì e poco dopo riuscimmo a sistemare i pesanti bagagli nelle cappelliere dello scompartimento numero 7. Mancava ancora una mezz'ora alla partenza, ma non fummo più disturbati.</div>Enrico Bohttp://www.blogger.com/profile/16924736307331803686noreply@blogger.com0