
mercoledì 8 dicembre 2010
Hotel Pekin.

mercoledì 10 novembre 2010
Hotel Rossija.

Proprio ai piedi del Cremlino sorgeva lo Zaryadye, uno dei quartieri probabilmente più belli d'Europa, un insieme apparentemente disordinato di chiese ortodosse dalle cupole orientali colorate e di palazzetti che costituivano un unicum straordinario. Nel suo delirio di potere, al culmine del risultato economico della NEP e del successivo slancio industriale, Stalin decise di raderlo al suolo nel 1935, per costruirvi uno dei grandi grattacieli di stile assiro-americano che tanto lo avevano colpito di New York. La distruzione fu completata appena prima dello scoppio della guerra, come si vede in una cartolina dell'epoca. Quindi, quando si potè mettere mano al progetto erano ormai arrivati gli anni 60. Cominciò allora la costruzione dell'Hotel Rossija, forse la più grande offesa dell'umanità al buon gusto ed alla cultura. Mi ci portava l'amico Ferox, data la comodità della posizione. Arrivavo sempre la sera tardi dall'aeroporto ed il gigantesco cubo nero che emergeva dalla notte ti dava subito un senso di tenebrosa inquietudine. Nell'ingresso squinternato e semideserto si aggiravano losche figure dagli incarichi incerti e sempre in cerca di attività border line nella migliore delle ipotesi.
Al bancone, infastidite incaricate ricoperte di belletti cospicui, controllavano di malavoglia i documenti e la prenotazione ottenuta tramite amici degli amici, che diversamente avere una camera in maniera normale, con una telefonata ad esempio, era impresa impossibile. Con il tuo passi in mano, osservato altezzosamente dal finto facchino che evidentemente svolgeva altre poco pulite attività, ti caricavi il valigione alla ricerca, prima degli ascensori per vedere se almeno uno funzionasse e poi ti incamminavi lungo gli infiniti corridoi resi bui dalle lampadine rotte o rubate, dove si allineavano senza fine le quasi 4000 camere dell'albergo più grande del mondo. Anche la dejurnaija del piano, quasi sempre appisolata su un divano letto sgangherato, non faceva da ultima barriera come suo compito, così ti trovavi da solo la chiave abbandonata su una rastrelliera arrugginita e ti ritrovavi finalmente nella tua camera malandata e squallida. Staccavi subito la cornetta per impedire ai drappelli di signorine, che invece in folti drappelli svolgevano una alacre attività, di telefonarti ogni dieci minuti per tutta la notte, al fine di offrirti un relaxing massage, evidentemente uno dei servizi più richiesti nell'albergo e ti buttavi distrutto dal viaggio nel letto sgualcito in attesa di fuggire la mattina, dopo aver tentato di fare una specie di colazione, in uno stanzino triste, dominato da un gigantesco samovar di acciaio con un thé annacquato e qualche fetta di pane rinsecchita con cetrioli e composta.
Negli anni, mentre il degrado aumentava in parallelo al malaffare, le mafie probabilmente si impadronirono dell'intero controllo dell'edificio. Per evitare il completo cedimento della funzionalità, alcune parti, come pezzi di corridoi, furono cedute a società private che ne fecero dei sub-alberghi, rinfrescandone alla meglio le camere prese in gestione. Così dopo essere penetrato nel mostro ti infilavi in una sottosezione chiamata Hotel Gioconda, gestito da "Italiani" con annesso ristorante detto dei Salernitani, che proponeva "pesce appena arrivato dall'Italia", dove robuste guardie del corpo presidiavano gli ingressi rinforzati, selezionando i clienti attraverso le porte trapuntate. I business più ambigui fiorivano da quelle parti, suscitando credo, robusti appetiti.
Il direttore del Rossija fu infatti presto assassinato tra l'indifferenza generale, come molti responsabili di funzioni in odore di "sviluppo commerciale" in quel periodo. Però su tutto dominava il mostro assoluto di quella costruzione che da un lato ottundeva la vista delle mura rosse del Cremlino, dall'altra sgorbiava irrimediabilmente il lungo fiume, tristissimo e orrendo al tempo stesso. Solo un bombardamente avrebbe potuto risolvere la situazione. Bene, inopinatamente nel 2006 un'orda ruspe salvifiche circondarono il cadavere putrescente e lo demolirono completamente. Oggi l'area, mi dice l'amico Ferox, è circondata da una completa recinzione, in attesa, si dice, della ricostruzione di un'Hotel a 7 stelle per rappresentare meglio l'orgoglio Putiniano e della Nuova Russia. Nessuno conosce davvero il progetto. Forse il nuovo mostro che sta per nascere sulle macerie delle delicate chiesette ortodosse, subirà altre modifiche. Gli appetiti dei vampiri non demordono, anzi si fanno più brutali e famelici, d'altra parte si sa, con la cultura non si mangia, provate a mettere la Divina Commedia in un panino.
giovedì 21 ottobre 2010
Caviale e kognak.

L'autunno a Mosca anticipa, e di molto, le nostre consuetudini. Alla fine di ottobre generalmente, le folate gelide che arrivano da nord, fanno camminare veloci i passanti che tirano su i baveri dei cappotti in attesa della prima neve. Gli alberi dei giardini hanno già perduto quasi tutte le foglie ed i rami, all'apparenza secchi e neri, mostrano al cielo la loro nuda disperazione. Una delle mie passeggiate preferite, terminato l'ufficio, era, girato l'angolo sul Kalzò, di fronte alla massa grigia e severa del vecchio Hotel Pekin, percorrere la Tverskaija che, con una leggera discesa, quasi volesse accompagnare i viaggiatori che dopo un lungo viaggio arrivavano da occidente, ti portava, lenta,come lo scorrere del tempo in Russia, fino alle meraviglie del Kremlino. E' una strada larga e un tempo elegante che invita al passeggio sui grandi marciapiedi su cui sfila ininterrotta la serie dei palazzi della Mosca di fine ottocento, un tempo ricchi ed eleganti.
giovedì 7 ottobre 2010
Grandi magazzini.

lunedì 16 agosto 2010
Recensione: Custine - Lettere dalla Russia.

In quel periodo il paese stava tentando di affermarsi come nuova potenza europea ed era vista con una certa sufficienza dall’Occidente che si considerava evoluto e moderno al confronto di quei parvenus barbari oltreché asiatici. Possiamo dire che si aveva della Russia una conoscenza per sentito dire, molto prevenuta e parziale, un po’ come succede oggi per la Cina. Il nostro dunque, viaggia da Mosca a San Pietroburgo per quattro mesi e sottoforma di lettere giornaliere, descrive con acume ed efficacia, il paese, la gente, la corte, ma soprattutto mette in evidenza il modo di pensare e il modo di vivere del paese. Quello che rende il libro sorprendente è la serie di osservazioni che ne costituisce l’ossatura. Ebbene, se non sapessimo l’anno in cui sono state scritte, tutte potrebbero essere valide e perfettamente adeguate, sia che parlassimo del periodo staliniano, che della gerontocrazia bresnieviana, che della situazione politica attuale. Se si pensa poi, che lo stesso Custine, riferisce che le stesse cose sono valide anche per i secoli passati, non si può arrivare che ad una conclusione.
Tutti i difetti ed i problemi che abbiamo attribuito al regime che per 70 anni è stato il Grande Impero del Male e che si ritiene causa dei disastri e degli effetti, a volte tragici, a volte comici che hanno fatto dell’impero sovietico l’emblema del fallimento di un sistema, sono invece propri da secoli di quel paese, che se li porta sul groppone, come retaggio di un passato e di una storia che rimane immutata ai cambiamenti di potere e dei vari rivolgimenti politici. Di certo questo libro sarà apprezzato da tutti coloro che hanno un minimo di conoscenza della Russia, che si ritroveranno in ogni frase ed in ogni racconto, che riconosceranno tipologie di personaggi e di situazioni, avvertendo rispondenze immediate coi fatti accaduti due secoli fa. Il povero Custine fu orribilmente snobbato dai suoi contemporanei, che probabilmente lo isolarono anche per le sue supposte inclinazioni sessuali. Così il suo libro, criticato dai letterati del tempo e caduto nel dimenticatoio per oltre un secolo, è diventato oggi un testo fondamentale per chi si interessa della Grande Madre. Se avete curiosità per l’argomento dategli senz’altro un’occhiata.
sabato 24 luglio 2010
Caldo o freddo?

Quando fa caldo, mi vien da pensare al freddo. Non al fresco come forse sarebbe più naturale, ma proprio al freddo freddo, quello tosto che ti è capitato qualche volta e ti ha fatto soffrire. Una volta ero sempre gelato. Quando ero in montagna, gli amici mi prendevano in giro, perché ero sempre carico di maglioni e giacche a vento pesantissime, anche quando gli altri erano in maglietta; non mi facevo mancare neanche guanti e calzettoni. Poi è stata la Russia che deve avermi cambiato. Temperature micidiali e neve sconfinata tra betulle fino all’ultimo orizzonte, ghiaccio lungo i muri, stalattiti trasparenti che cadono dai tetti. Adesso non mi pare di sentirle più le basse temperature. Ho sempre caldo e non tremo più quando tira il vento gelido dell’Assietta.
Inutile dire che i miei cosiddetti amici, diranno che è tutto dovuto allo spesso strato di lardo che, estendendosi sottopelle attorno al mio corpo, mi protegge come i trichechi, dai rigori invernali. E’ vero che in quel periodo ho messo su un bel kiletto all’anno ed alla fine tutto questo conta, ma non credo che sia solo una questione lipidica. Quando ero a Mosca, che strano, nei miei ricordi mi sembra sempre che fosse inverno, faceva sempre un freddo becco. Uscivi da un ambiente caldissimo, magari un po’ appiccicaticcio per l’aria viziata e dall’odore umano caratteristico, nessuno aveva certo la volontà di aprire le mezze finestre con doppi e tripli vetri per fare entrare le folate di nonno gelo e ti trovavi sui larghi marciapiedi scivolosi di ghiaccio della Tvierskaija, mentre l’aria gelata ti penetrava sotto i vestiti prendendoti come in una morsa.
Ti stringevi nella dublijonka spessa e ti calcavi ancora di più la shapka di pelo sulla testa per proteggere le orecchie, ma quando al termine di un respiro affannato sentivi un dolore secco in fondo alla gola, quello era il segnale inequivocabile che il termometro era sotto i 25°C. Non riuscivi neanche a camminare in fretta per raggiungere un luogo riparato, ristorante o albergo che fosse, i pantaloni si attaccavano alle gambe indurite, duri essi stessi come fossero di compensato spesso ed il passo si faceva difficoltoso, pesante. Poi arrivavi alla meta e che sollievo togliersi tutti gli strati di dosso, rientrando nell’aria dolciastra di un calore esagerato, asciugandosi gli occhi lacrimanti. Un alternanza di inferno di ghiaccio e di fuoco che forse forgiava il corpo, chissà, ti levava la mania di lamentarti. Quella volta, appena usciti dai padiglioni della fiera, nelle strade scure e senza luce del primo pomeriggio di un fine gennaio, non sentivi neanche l’odore pungente della benzina bruciata di bassa qualità.
Il Vigilante che stava dritto e immobile vicino alla sbarra, pareva l’omino Michelin, tante giacche e imbottiture aveva addosso e tra visiera di pelo e sciarponi, si vedevano solo gli occhi sofferenti di dover resistere fuori senza neanche una goccia di vodka, battendo i piedi per non congelare. Non ci controllò neanche i pass, mentre andavamo verso la macchina. La maledetta, non voleva saperne di partire e anche lui ci venne a dare una mano a spingere, verso la leggera discesa, tanto per scaldarsi. Appoggiammo le mani dietro, ma quando la macchina partì, il mio collega si mise a gridare come un matto, non aveva i guanti e la pelle dei palmi era rimasta attaccata alla lamiera. C’erano 32°C sotto zero. Quando fa freddo, fa freddo.
venerdì 16 luglio 2010
Il Milione 20: Pelli d'orso.

Cap. 70...una contrada verso tramontana, la qual si chiama lo piano di Bangu (Burjatia) e dura ben 40 giornate, a capo del quale l'uomo truova lo mare Ozzeano. La gente son chiamate Mecricci (i Mekrit che vivono a sud del Bajkal, nella zona di Chita, paese conosciuto solo dai giocatori di Risiko) e son salvatica gente; egli vivono di bestie e 'l più di cervi. Non hanno biade ne vino; la state hanno caccia e uccellagione assai, di verno non vi stae né bestie né uccelli per il grande freddo....
Cap. 70...e vi dico che questo luogo è tanto verso la tramontana che la tramontana (la stella polare) rimane arietro verso mezzodie...
lunedì 8 febbraio 2010
Il concerto: recensione.
lunedì 18 gennaio 2010
L'importanza della musica.
