
Il giro nelle fabbriche di Ekaterinburg o Sverdlosk come ancora si chiamava, non fu molto diverso da quello delle altre città. Dovunque impianti fatiscenti che volevano essere sostituiti, riammodernati o anche completamente spostati su produzioni nuove, più efficienti e moderne. Tutti volevano entrare nella nuova era, mancavano solo i soldi, non certo la volontà. Quindi lungo e paziente lavoro a discernere il loglio dal grano, la pula dal riso, insomma, chi la possibilità di avere i dollari ce l'aveva, da chi invece sognava solo di averli. Così via, qua e là, dalla fabbrica di spumante (sovietskoije champagne) con la linea di imbottigliamento a pezzi (sapete che là lo spumante non si fa(ceva) né con il metodo Charmat, fermantazione in autoclave, né con lo Champenois, fermentazione in bottiglia, ma con un metodo brevettato russo , brrr, ancora più rapido, di fermentazione in continuo in poche ore, eheheheh, alla fabbrica di polietilene, dove lo sgarbatissimo direttore, che ci aveva invitato ad andare, ci mise praticamente alla porta dicendo che non aveva bisogno di niente e mentre uscuvamo, a testa bassa, confessò che in realtà non aveva speranza di avere soldi per una linea di sacchetti di cui aveva urgente bisogno, alla Parfumerija dove avevano in mente tutta una linea nuova di rossetti, con la necessità di un ricco set di stampi, fino alla fabbrica di occhiali che faceva terrificanti montature anteguerra, tipo tartarugone larghi un centimetro che pesavano almeno un etto cadauna senza lenti. Irina la direttrice, era la solita matrona di peso con magliettina bianca di angora cinese pelosissima (la maglietta). L'altissima architettura della massa di capello biondo che le sovrastava la testa, la faceva sembrare ancora più imponente. Chissà com'è che le donne russe, bellissime in una media veramente anomala, non appena raggiungono un posto di potere, si dilatano in tutte le direzioni in maniera proporzionale al grado? Sarà la dieta ricca di patate o la vodka dei brindisi delle riunioni di lavoro? Chissà. La nostra era però gentile e disponibile e ci mostrò con piacere tutta la produzione, ma dal tono dimesso della voce era già intuibile che il finanziamento necessario era talmente lontano da renderlo improponibile. Guardava con invidia e desiderio il baldanzoso Ferox, non certo per la sua avvenenza, ma per la leggerissima e moderna montatura dei suoi occhiali, che volle esaminare con cura, Se li passava da una mano all'altra, controllandone i particolari con la professionalità di chi conosce bene il suo campo. Ammirò con sospiri malinconici la mirabile tecnologia italiana, restituendo il reperto quasi con dispiacere, come se avesse voluto trattenerlo per meglio studiarlo, sezionandone i particolari attraverso una specifica autopsia industriale per carpirne i misteriosi segreti. Quasi non si capiva cosa ci eravamo andati a fare, poi in un attimo tutto fu chiaro Il maggiorente politico che ci accompagnava, tromboneggiando sulle doti ed i pregi della nostra italijanskaja firma e sulle grandi potenzialità industriali della città, sponsorizzando la creazione di un ufficio di rappresentanza in loco, di cui, benignamente avrebbe potuto prendersi carico, aveva solo bisogno di un paio di occhiali nuovi, che, la corposa Irina, gli fece scivolare in tasca, mentre ci accompagnava all'uscita. Il Dio minore delle piccole cose ci accompagnava sempre nei nostri vagabondaggi. Cosa stavamo cercando? Un sentore, una traccia. Eravamo come cani da tartufo che scodinzolando si aggiravano nei boschi degli Urali cercando di avvertire, anche se tenue e ricoperto dall'acre odore di marcescenza di un sottobosco antico, il delicato profumo dei dollari amici, sottili lamelle verdi con cui cospargere il risotto dei nostri delicati e tecnologici stampi. Così, vigili ed attenti, salimmo sulla Lada Niva che ci avrebbe portato a Sverdlosk 44, la città segreta tra le colline basse degli Urali, circondata dai reticolati e di cui avevo già parlato qui, un po' di tempo fa e a cui vi rimando. Il paesaggio innevato di questa zona è molto bello, dolce e calmo, mentre la strada percorre i fondovalle con curve ampie circondata dalle betulle fittissime e bianche . Quasi non distingui la neve dalla corteccia, se non dai piccoli segni neri orizzontali che la fendono delicatamente. Ogni tanto si incontra un piccolo specchio d'acqua ghiacciato. Vicino ad uno di questi, un po' più grande che appena si intravedeva la riva opposta, lasciammo la strada che lo circondava per attraversare direttamente la distesa di ghiacchio. Ci fermammo quasi in mezzo al lago; sotto di noi ghiaccio verde trasparente e pulito di neve dal vento tagliente che quasi smerigliava la superficie piatta. Un verde quasi smeraldino, tutto percorso da crepe inquietanti che si allargavano fino a che l'occhio, nella penombra del pomeriggio inoltrato, le poteva scorgere. Più di due metri di spessore, assicurò Kostija che ci accompagnava, ma quando risalimmo in macchina e le ruote riguadagnarono la riva scoscesa, mi sentii più tranquillo. Poco lontano, il triplo reticolato di Sverdlosk 44, mostrò un varco in cui ci insinuammo, dopo un rapido controllo dei nostri permessi. Ce ne andammo verso l'albergo in pochi minuti allontanandoci dal gate dove con mia inquietudine, avevano trattenuto i nostri passaporti. Nell'aria un profumo amico e promettente, che veniva dalla fabbrica del marmo.
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