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mercoledì 21 ottobre 2009

Il colbacco di volpe gialla.


Il gennaio del '93 era gentile a Mosca e la temperatura scendeva di poco sotto lo zero, ma G. mi portò ugualmente all'Arbat, pieno di bancarelle, a comprami una shapka degna di questo nome, perchè non si viaggia in Russia d'inverno senza un colbacco decente. Trattammo un po', G. fa sempre una faccia schifata quando deve comprare qualcosa, forse fa parte del suo modo di condurre la trattativa; alla fine ne scegliemmo uno giallastro di volpe che mi piaceva molto con quella sua virgola scura sul davanti. Con venti dollari avevo la testa calda e potevo pensare più tranquillamente, così ha finito per accompagnarmi per anni in tutti i miei vagabondaggi invernali eurasiatici e la tengo cara ancora oggi anche se è un po' spelacchiata, quella vecchia volpe siberiana gialla. Andammo poi al Sadko, l'unico supermercato aperto in quel periodo dove trovare generi di conforto che mi tenessero su il morale durante il cammino. Fuori c'erano le vecchine che riportavano i carrelli per qualche rublo di mancia. Agli angoli, c'erano anche le venditrici di gelati, dei cilindroni di cialda, ripieni di un buonissimo gelato alla panna che sapeva di burro, di latte fresco. Ce ne prendemmo uno da una biondina che vendeva anche guanti fatti in casa. La gente cominciava ad essere intraprendente. Le cose cambiavano rapidamente nell'URSS e stavano sparendo anche i distributori di kvas agli angoli delle strade. Erano degli armadioni di acciaio dove infilavi una monetina da 3 kopechi (sì c'era la moneta da 3), poi, velocemente afferravi un bicchiere di latta legato ad una catenella perchè non se lo fregassero e lo mettevi sotto un getto di liquido opalescente ambrato che lo riempiva fino all'orlo e te lo bevevi col collo un po' storto a seconda della lunghezza della catenella. Aveva un sapore acidulo ma non sgradevole; chissà se qualcuno se lo fa ancora in casa questa specie di protobirra, un fermentato a basso tenore alcoolico di cereali o di qualunque altro scarto vegetale casalingo. Se lo saranno dimenticato anchi i russi oggi, come da noi la miscela Frank che mia mamma metteva alla sera nel caffè e latte. Comunque al pomeriggio la valigia era pronta, i documenti di viaggio anche, il fido Zhenja che mi avrebbe accompagnato, pure; io, che certo avevo un po' di timore, ero però eccitatissimo per quel lungo viaggio che mi preparavo a fare, di treno in treno alla scoperta di una Unione Sovietica per me assolutamente sconosciuta ma fascinosa. Mentre a tarda notte andavamo verso la Yugovagzal, la stazione dei treni che vanno verso Sud, non sapevo ancora che stavo partendo dall'URSS e dopo quasi due mesi sarei tornato nella Russia, un paese nuovo carico di una serie inaspettata di nuovi problemi che i suoi abitanti, così ansiosi di cambiamenti, non si attendevano.
Continua...

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