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venerdì 30 ottobre 2009

Montone arrosto.


Il cono perfetto dei 5680 metri dell'Elbruss lontano più di cento kilometri si stagliava lontano con le curve precise dei suoi fianchi che si collegavano asindoticamente alla grande pianura coperta di neve, su cui il vulcano si formò milioni di anni fa. (La foto primaverile non vi inganni, l'ho fatta in un'altra delle innumerevoli volte che sono stato da quelle parti). Poi di colpo la notte ci sorprese lungo la strada del ritorno. Alla luce fioca dei fari di quando in quando i posti di blocco, già presidiati da imponenti OMON in mimetica che scrutavano con le torce all'interno delle macchine. Il possaporto dell'Italianiez era guardato più con stupore che con accuratezza e non si leggeva ancora nei loro occhi i bagliori dell' incendio ceceno, di certo manovrato ad arte sfruttando con sagacia le antiche ruggini montanare, che a pochi kilometri sarebbe scoppiatodi lì a un decennio. Ad uno di questi controlli incrociammo un potente fuoristrada targato Asti. Però come gira la gente. Guardando meglio, i quattro ceffi barbuti che la abitavano non venivano certo dalla pigiatura della freisa. "Cecenzy" mi assicurò Andrej, chiarendomi subito dove finivano tutte quelle macchine che vengono rubate dalle nostre parti. Un' altra conseguenza della perestroijka. Comunque, superata l'ultima collina, comparvero in fondo alla valle i primi casermoni di Cerckiesk. Ci aspettavano a cena e passammo a prendere dei fiori per la padrona di casa. Che passione hanno i russi per i fiori. In mezzo ad una situazione che parrebbe tetra e scolorita, nel grigiore bianco sporco della neve che lascia posto alla ruggine ed al fango primaverile, il colore dei fiori deve essere un forte antidoto alla depressione. Anche alla sera tardi potevi trovare un piccolo chiosco aperto dove preparare un bel mazzo. Arrivammo al villone del fratello dell'aspirante banchiere, dove ci attendeva un gruppetto di ospiti riuniti per accogliere lo straniero. La signora gradì l'omaggio floreale, ci fecero un po' di feste, poi le donne, moglie di Andrej che ci aveva accompagnato compresa, si ritirarono a mangiare in un' altra sala. Si sa, i costumi del Caucaso sono alquanto turcheschi. Il villone era recente e voleva testimoniare le improvvise fortune dei padroni di casa, con una grande ostentazione di mobili moderni di importazione, seppure un gran tappeto appeso al muro, dava spazio alla tradizione. Su un grande tavolo centrale imbandito con molti piatti di portata di insalate varie, troneggiava, in un enorme vassoio di almeno due metri, il barano, un montone intero arrosto, tagliato a pezzi minuti a formare una succulenta montagna di carne profumata. Cominciarono i brindisi; nella mia pridlazhenija, d'obbligo per chi a turno alza il bicchiere, parlai a lungo della mia soddisfazione di essere finalmente lì e di conoscere dei veri Circassi, popolazione che mi aveva morbosamente incuriosito fin da piccolo, quando facevo la collezione di figurine dei Popoli del mondo ed ero affascinato proprio dal Cicasso che era raffigurato come un severo e baffuto cavaliere con lunga pelliccia di astrakan. La mia prolusione fu molto apprezzata e la votka cominciò a scorrere lieve. Scoprii al mio fianco un agronomo e subito scattò la simpatia tra colleghi. Con l'aiuto di Zhenija si parlò di agricoltura e mi sembrò di essere a Castellazzo Bormida ad una cena di Coldiretti. Il sosia di Bresniev, aspirante banchiere, naturalmente presiedeva il tutto con fare paterno; spiegò, strizzandomi l'occhio, come la sua fede nel comunismo lo avesse portato ad una posizione importante, così da consentirgli di partecipare, in quel tempo di cambiamenti, alle nuove occasioni che si presentavano. Quando manifestò la serie di problematiche che impedivano l'immediato investimento di una serie di macchine da 50.000 dollari per fare le maglie, capii che della banca, per ora c'erano solo i depliant e che la strada era ancora lunga e futuribile. Lasciammo la compagnia a tarda notte, un po' malfermi ma ancora abbastanza lucidi per evitare il bacio in bocca del baffone sopraciliato, che mi afferrò stretto tentando di soffocarmi in un impeto amoroso dai sentori alcoolici. Del barano, nel grande piatto di finto argento, rimanevano solo le ossa.

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