Forse qualcuno si chiederà il motivo di questo amarcord sovietico che, credo, se siete d'accordo, ci accompagnerà come la lagna monocorde di una trifonia mongola, anche nei prossimi giorni. Il fatto è che ho miracolosamente ritrovato una agenda dell'epoca in cui mi segnavo con cura gli eventi giornalieri, per me così carichi di nuove esperienze. Aggiungete questo all'abitudine di conservare anche una piccola documentazione iconografica e il gioco è fatto. Dunque ci siamo lasciati ieri mentre andavamo verso la Yugovagsal, la stazione del sud,, con le gambe un filino malferme in seguito alla cena che avevamo avuto con il presidente di una importante fabbrica di vodka, a cui avevamo venduto una linea di riempimento, con al seguito sottopancia ed amica del cuore. Dato che mancava una quindicina di giorni al suo ricovero annuale in clinica per disintossicare il fegato provato dal suo duro lavoro, ci aveva dato dentro con i campioni appena imbottigliati del suo stesso prodotto, coinvolgendoci nei brindisi ripetuti. D'altra parte, come diceva lui, la sua era una malattia professionale, se fosse stato presidente di una miniera avrebbe avuto la silicosi e sarebbe stato anche peggio. Lo riportarono in albergo sostenuto dall'autista e dal sottopancia, mentre la signora che aveva finito una intera bottiglia di Cinzano rosé, cantava allegra Funiculì funicolà. Comunque la stazione era vicina, ma quando scaricammo le valigie dalla macchina, l'ambiente non era rassicurante, giravano ceffi di ogni genere, alcuni a gruppetti con la faccia di chi si spartisce il bottino dopo la rapina, altri appoggiati agli stipiti come avvoltoi in attesa di preda. Zhenja e G. che ci accompagnava, si guardavano attorno con cautela, resi attenti dall'esperienza che in in quel periodo, in cui si stavano sfaldando le maglie di un regime oppressivo e controllore, raccontava di una Mosca particolarmente pericolosa per gli stranieri. I moscoviti, poi, avevano sempre avuto particolare astio per la gente del Caucaso, i cosiddetti culi neri, furfanti e dediti per costume ed inclinazione naturale al malaffare, responsabili di ogni nefandezza che accadeva a Mosca, come si è ben dimostrato successivamente, nella guerra cecena, che tutti in Russia appoggiavano entusiasticamente. Si sa la gente del sud è tutta mafiosa e al più sono solo dediti a far festa suonando la dambrà (un tipo di mandolino) e a mangiare lepioske (una sorta di pizza). Comunque avevamo, tra campioni, materiali di lavoro e viveri di sussistenza quasi cento chili di valigie in due e si imponeva un facchinaggio. Scendemmo con cautela lungo un tetro sottopasso popolato di venditori improvvisati di giornali e cibarie. Un bel cartello sul muro recitava "Servizio bagagli: 40 rubli", ma la cosca dei tartari che aveva in mano il business e che ci aveva subito individuato e circondato, dopo una lunga trattativa si accontentò di soli 10.000 rubli. Un vero affare, prendere o lasciare, d'altra parte, come ci spiegò bene il loro caporale, di stranieri non ne circolavano quasi e anche loro tenevano famiglia. Ci trascinarono i colli lungo la fetida banchina, fino al treno che partiva a mezzanotte precisa. G. mi abbracciò salutandomi e raccomandò a Zhenja di stare in campana. "Prego la scusa - disse lui - ma vado a cercare il capovagone". Così salimmo per trovare lo scompartimento che avevamo prenotato, tramite un amico che ci aveva raccomandato (i biglietti allora non si compravano alla biglietteria, ma tramite "conoscenti") per averlo (pagando il giusto) tutto per noi. Ci aspettavano 31 ore e 42 minuti di viaggio prima di arrivare alla repubblica Karachiajevo-Cherckieskaja.
giovedì 22 ottobre 2009
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