venerdì 8 maggio 2009
Un treno nella notte.
Saranno anni che non prendo un treno. Un mezzo così evocativo e possente. Dal primo che mi ricordo, quando avevo cinque anni e i miei mi portarono a vedere il Carnevale a Viareggio, di cui non mi è rimasto assolutamente nulla, se non il viaggio in cui vomitai anche l'anima; ero uno dei pochi bambini che vomitava anche in treno. E pensare ch era la prima volta che vedevo il mare. Buio assoluto, solo nausea e odor di treno che mi perseguitò per anni fino all'università, con le continue andate e ritorno da Torino, in cui a poco a poco mi riconciliai col mostro che lentamente diventava più affettuoso e domestico, quasi romantico, come diceva il mio amico kendoka e macchinista, mostrando l'orgoglio futurista del locomotore lanciato a fari accesi nella notte sul binario infinito. Massa boccioniana in movimento inarrestabile e travolgente. Ma il conclusivo e coinvolto fascino del treno, l'ho subito definitivamente attraversando le sconfinate pianure sarmatiche, dove il tempo e lo spazio non si misurano. Cento anni non è un tempo, cento kilometri non è distanza laggiù e quante stazioni a Mosca con i grandi treni in attesa lungo le grandi banchine. Perchè questa senzazione di tutto così grande, sarà per lo scartamento maggiore; già, il famoso cambio degli assi con le ruote a Chop, il confine dei due mondi ferroviari. Come ce lo immaginavamo in ufficio il valico di Chop, questo nodo vitale dove nessuno era mai stato, popolato nel nostro immaginario da migliaia di vagoni in attesa di attraversare la cortina, emigranti muti, rigonfi di merci, di ghiotte casse di buon legno che una volta svuotate del loro contenuto tecnologico, sarebbero state litigate dai vari riceventi per costruirsi la dacia campagnola. Poi da Mosca, il mitico vagon coupè, dove farsi il nido per trascorrere il tempo infinito che mancava agli Urali, mentre scorreva il deserto bianco della pianura senza confine visivo. I meno 20° esterni coi + 35° interni, i finestrini bloccati e l'odore di treno russo, dolciastro di notte trascorsa in tuta, misto di calore, sudore, pesce secco, thé caldo nei bicchieri di vetro dentro il portabicchiere col manico di finto argento portato dalla dejiurnajia, una per vagone, grassa e vecchia, con gli occhi tristi a chiedere indisky ily kitaisky chay? Il tavolinetto con una tovaglietta, le tendine marezzate che sembravano quelle di un' isba di campagna mentre le foreste di betulla scorrevano veloci. La sosta di mezz'ora quando si arrivava in una città, con l'improvviso popolarsi di venditori abusivi che invadevano i corridoi con cibarie improbabili, pesci secchi, kolbasà rossi, samagon in bottiglie di vodka riciclate, smietana golosa e poi man mano che crollava lo stato, i piccoli segni dell' agognato liberalismo, ingenui giornaletti porno, barrette di Mars e Snickers, chewing gum e la valanga di vestiario cinese che colossali matrioske strette in maglie di angora pelose a coprire strizzandole, imponenti rotondità, andavano a procurarsi in grandi sacchi al confine con la Mongolia e a poco a poco smerciavano lungo la Transiberiana, arrivando a Mosca con i teli vuoti. Contatti umani in tuta lungo i corridoi nella notte nera, scandita dal movimento costante ed ondulatorio fino all'ultimo minuto, per andare a prepararsi per l'arrivo, che come in tutti i luoghi in cui c'era stato un Lui, avveniva in orario spaccato. Che pace, giocare a scacchi con Eugenio, o chiacchierare con la controllora che non riusciva a tenere la stoppa dei capelli sotto la visiera del cappello, riponendo la pinza obliteratrice negli informi pantalonacci della divisa, mentre ci chiamava Italjianzy, lasciando la parola in sospeso, con occhio sognante e ci raccontava di un suo fidanzato di Rimini, ormai perduto per sempre. Lara, oh Lara, che ti allontanavi nella notte, con la ciocca un tempo bionda, ciondolando il culone informe e nostalgico lungo il corridoio puzzolente. Adesso vado a prepararmi perchè tra un'ora vado, dopo molti anni, a prendere un altro treno, per arrivare alla capitale. Non vomit più adesso, sono cresciuto, la nausea mi prende per altri motivi, in casa, davanti al telegiornale. Avanti, o Roma, o morte.
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