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mercoledì 22 aprile 2009

La cortina di ferro (arrugginito)

Da buon mercante quale sono stato nelle mie vite precedenti (oltre che in quella attuale), aborrisco le frontiere. Sono la morte dell'economia, barriere destinate soltanto ad generare odi e violenze. Certo ci sono frontiere e frontiere, in qualcuna non ci sono più neanche i doganieri, altre invece sono o sono state muri quasi invalicabili, preda delle bizze di ottusi personaggi in cerca di scuse per angariarti. Una delle più celebrate è stata la Cortina di ferro. Chi è stato a Mosca in quegli anni non dimentica certo l'occhio indagatore che ti spogliava (quando non lo faceva per davvero) in cerca di materiali sospetti o di piccole imperfezioni sul visto. Ed era proprio a questo ferale passaggio, che in un bel mattino di maggio, mi dirigevo per tornarmene a casa, dopo una dura settimana moscovita. Al mattino, io ed il mio collega ce ne eravamo scesi fino al bancone dell'Inturist, il mostro parallelepipedo che ancora dominava la Tvierskajia, e dopo la consueta scialba colazione, avevamo ritirato i nostri passaporti che una stanca addetta ci aveva gettato con mala grazia. Intascato ognuno il nostro, ci eravamo diretti, lui all'aeroporto di Domodiedovo per prendere un aereo per Celjiabinsk ed io a Sheremetievo dove l'airone giallo della Lufthansa mi attendeva per portarmi a casa. Conoscendo la lunga ed attenta trafila, mi ero presentato tre ore prima; cominciò così il lungo percorso ad ostacoli. Quasi all'ingresso, il primo controllo del passaporto e del bagaglio per verificare che non esportassi niente di illegale, poi il ritiro della dichiarazione di valuta inserita nel passaporto stesso. Tutto bene; poi il check in, biglietto alla mano, ritiro valigia, nuovo controllo del passaporto prima del rilascio del boarding pass, non fosse mai che partissi al posto di un altro, infine l'ultimo passaggio, la lunga fila del controllo del visto sul passaporto per evitare gli espatri clandestini. Dopo una bella mezz'ora, la fila si stava dipanando ordinata, finalmente tocca a me, mi avvicino all'occhiuta controllora e, con l'astuzia proveniente dai tanti passaggi effettuati, apro il passaporto alla pagina iniziale per facilitare la ricerca dei dati e quale non è il mio orrore quando mi accorgo che il passaporto che sto per porgere al controllo non è il mio ma quello del mio collega, evidentemente e maldestramente scambiato al mattino. Lui magro e più anziano, con barba ed occhiali, mentre io ne ero privo. Mentre cerco di inventare una via di uscita e di ritrarre il libretto, il cerbero glaucopide, me lo strappa con malagrazia di mano, se lo appone sul desco apprestandosi ad un sabba infuocato. Sono impietrito nella mia posizione, afono ed immoto in attesa del fischietti degli OMON con la mitraglietta, cercando come spiegare di essere arrivato fin lì senza pervicace intento di nuocere. Il donnone mi squadra, sfoglia il libretto, batte sui tasti, controlla ancora il visto e la foto, ecco, adesso sono morto, allunga la mano per chiamare la sicurezza. Invece afferra il timbro e con occhio severo ma giusto, appone due stampi e mi ridà il passaporto ed io mi ritrovo al di là della barriera sospinto dal cliente successivo, in terra di nessuno , forse in salvo, la fiumana mi spinge percorro il budello fino al gate, mi palpeggiano per vedere che non abbia icone nascoste o scatole di caviale da sequestrare (quelle le avevo già messe in valigia), mi ritirano il pass, salgo sull'aereo, i motori rombano, sono partito. Diversa la situazione a Francoforte, dove due gendarmi alla scaletta del velivolo, dopo aver gettato uno sguardo interrogativo al passaporto, mi caricano ghignando, su una macchina con scritto Polizei con sirena. Nell'ufficio alle mie spiegazioni stranite in anglo-tedesco-mandrogno, si fanno un sacco di risate e mi dicono che saranno cavoli del mio collega e mi riaccompagnano all'aereo che mi attendeva fedele; nessuno a Malpensa, benedetto Shengen. Dormivo così il sonno del giusto, quando alle sei di mattina mi sveglia una telefonata dalle profondità degli Urali dove erano già le 9 e la fida Stefi si era accorta che il passaporto del collega (che aveva passato altrettanti controlli a Domodiedovo) non corrispondeva. Non deve essere stato facile per Gianni sistemare la questione, anche quando ricevette indietro il passaporto buono, perchè dai timbri il collega risultava inoppugnabilmente già uscito dalla Russia e nella frontiera più controllata del mondo questi e(o)rrori non possono accadere, senza un dolo pervicace, ma in qualche modo ci riuscì e anche il collega tornò a casa.

venerdì 17 aprile 2009

Gambitto di re.

Tirato per i capelli da Skakkina, riemerge in me prepotente l'ombra cupa del giocatore di scacchi, certo il gioco più affascinante che l'uomo abbia pensato. Equilibrato e privo di momenti morti, ha una spietatezza che si adatta perfettamente alla torbida mentalità umana. Devi distruggere il tuo avversario senza alcuna pietà, senza dargli tregua, senza un attimo di respiro, basta un minimo vantaggio per prevaricare la sua resistenza fino all'epilogo finale, la sua distruzione fisica e mentale. I pezzi sulla scacchiera sono solo un tramite, una raffigurazione epifanica, è il tuo avversario che deve essere annientato nella realtà. Non si può giocare con la moglie a scacchi, chiaro Ska? Grandi campioni non si sono mai ripresi dopo cocenti sconfitte finendo pazzi o tra i deliri dell'alcool. Mi è sempre piaciuto questo gioco perchè non mente mai, vince sempre e invariabilmente chi è più bravo, senza scuse, senza possibilità di dare la colpa all'arbitro od al tiro di un dado o all'uscita della carta sfortunata. Non c'è quartiere, chi è meno capace viene sterminato. Ed il modo di giocare illustra perfettamente il tipo psicologico che hai davanti; riconosci subito chi è aggressivo, chi ama il rischio, chi preferisce difendersi sempre, attaccando solo quando scorge una piccola falla nelle forze nemiche, chi è timido, chi valuta tutte le possibilità lasciandosi sempre una via di uscita, chi si getta nella mischia senza badare ai pericoli. Non ho avuto la possibilità di misurarmi con molti avversari, quindi non so bene il mio valore scacchistico, ma la Russia era un posto interessante per questo aspetto. Saputo che il buon Zhenjia, giocava a scacchi, approfittavo delle lunghe ore che spesso trascorrevamo in treno traversando i boschi di betulle bianche della Grande Madre. Lui aveva sempre con sè, come tutti i giocatori, una scacchiera portatile, che estraeva con destrezza disponendola sul tavolinetto dello scompartimento coupé. Aduso ad una vita mimetizzata, lui, ebreo, che aveva trascorso una vita sotto un regime duro abituato a colpire chi alzava la testa fuori dal coro, timoroso del potere come non mai e quindi a questo ossequioso al massimo, anche in me, che pure gli ostentavo grande affetto ed amicizia, vedeva comunque il lontano pericolo che giunge dalla posizione gerarchica. Ma gli scacchi sono la verità, non ti puoi nascondere, lì scatta ed esce prorompente la tua vera natura. Avevo scoperto per vie traverse che era molto bravo, un 1° categoria sul limite per diventare Maestro; infatti con una furia ed una rapidità sconvolgente mi stroncava dopo poche mosse approfittando delle mie più piccole distrazioni ed errori. Subito dopo l'apertura, mi trovavo invariabilmente in difficoltà con i pezzi mal disposti e chiusi, mentre lui mi sferrava attacchi micidiali. Quando tentavo qualche maldestro affondo, giungevo subito sfiancato alla meta e con le retrovie scoperte ed rapidamente mi arrivava la stoccata finale. Un sorrisetto trattenuto e poi zac, sheck matt, il re è morto. Ogni tanto però anche lui lasciava il fianco esposto a qualche mio assalto e anche se raramente, ogni tanto riuscivo ad avere la soddisfazione di pareggiare o addirittura vincere. Questo faceva salire di molto la mia autostima, senonchè una volta in cui stavo avendo ragione di lui, grazie ad una sua disattenzione, in una partita bellissima in cui mi aveva circondato quasi completamente, capii tutto. Di tanto in tanto il malefico, sbagliava apposta, timoroso di umiliarmi troppo, per darmi la soddisfazione tronfia del capo che bastona il suo sottopancia. Ero proprio dipiaciuto di vincere anche quella partita così immeritatamente, quando, ad un tratto, mentre stavo per cogliere di malavoglia il frutto rubato, gli salta fuori una bellissima combinazione, di cui naturalmente io non mi ero avveduto ed ecco che il timoroso omino alla costante ricerca di qualcuno da responsabilizzare, sempre in attesa di sentire bussare alla porta il KGB, non seppe resistere e dopo un lungo sospiro, il drago nascosto nelle sue viscere emerse con prepotenza ed in poche mosse annichilì lo schiocco che pensava di avere già in tasca la vittoria. Comprese subito di essersi tradito, ma era stato più forte di lui, gli scacchi non mentono, mettono a nudo la tua psiche senza pietà. Subito si rannicchiò tra le spalle, quasi scusandosi, ma ormai era troppo tardi per nascondersi. Dopo quella volta giocò malvolentieri con me e solo se lo sollecitavo a lungo.

martedì 7 aprile 2009

Che soddisfazione sciorinare parole proprie di settori specifici, perfettamente conosciute dagli addetti ai lavori, ma misteriose, quando non fuorvianti per gli estranei. Parole come imbutire, soffiaggio della preforma, lardone, il crodo, vibratori (e non pensate subito male!). Qualche volta le esamineremo con calma. Pensate piuttosto alla lingua cinese, in cui i caratteri specifici delle varie professioni non sono quindi conosciuti se non dagli addetti ai lavori. Qui almeno le possiamo leggere queste parole (anche se non sappiamo cosa vogliono dire, però, magari possiamo intuirne il significato). Ad esempio, molta ilarità suscitò nel nostro ufficio, la fornitura di una bisellatrice, assieme ad altre macchine (incluse due spaccatrici) di una linea completa che fornimmo a Sverdlosk 44, una piccola città sovietica sugli Urali non segnata sulle carte, perchè era una città segreta, di quelle circondate dal filo spinato, da cui nessuno poteva entrare od uscire senza uno specifico permesso speciale. Non abbiamo mai saputo, perchè quella fosse una città chiusa (come le chiamavano allora), forse roba nucleare o missilistica, fatto sta, che superare i reticolati per entrarvi fu piuttosto emozionante, anche se il Sindaco ed il Presidente della fabbrica furono molto cortesi e cercarono di metterci a nostro agio il più possibile, senza lesinare sulla vodka e gli shashliky, anzi ci assicurarono che gli abitanti erano contentissimi di essere, per così dire protetti con quella barriera, dai pericoli del mondo esterno. La città era sul bordo di un lago con le foreste di betulle bianche che si confondevano col bianco della superficie ghiacciata in gennaio, dove pochi pescatori solitari passavano il loro pomeriggio a guardare il loro buco nel ghaccio in attesa di qualche pesce. In fabbrica ci furono grandi festeggiamenti quando, qualche mese dopo la firma del contratto arrivarono le grandi casse di legno che contenevano le macchine, tra cui appunto le spaccatrici e la modernissima bisellatrice, quella più ambita. Queste furono subito collocate all'interno del capannone, dove il tecnico appositamente giunto dall'Italia cominciò il montaggio, occupandosi sia della parte elettrica che di quella meccanica e pneumatica, tra lo stupore di tutte le maestranze locali, abituate ad una ferrea suddivisione dei compiti e meritandosi anche un articolo di elogi sul giornale locale. Grandi feste con conseguenti sbronze colossali all'inaugurazione, quando finalmente la linea sfornò i primi prodotti. C'era commozione ed il Sindaco ci abbracciò più volte calorosamente. C'era gratitudine, c'era affetto in quegli abbracci, c'era amicizia. Guardate che vendere qualcosa in Russia, non è come farlo da altre parti, c'è un coinvolgimento speciale, da parte di tutti (forse anche per la quantità di vodka che si utilizza). Ho capito, volete sapere cosa è questa cavolo di bisellatrice e a cosa serve il bisello. Calma, adesso vi accontento. Come avevano tenuto a dirci al momento della richiesta, quella zona degli Urali produceva una quantità di marmo di varietà e colori tali che a quello di Carrara gliene facevano un baffo e di conseguenza, per aderire alle richieste che dalla nuova Russia si sarebbero manifestate prepotenti, assieme col nuovo benessere, era necessario rimodernare la fabbrica per produrre dai marmi stessi, piastrelle, lastre, gradini, davanzali di ogni tipo e soprattutto tombe. Ma ogni pezzo finito di questi, prima di passare alle lucidatrici per la messa a punto finale, necessita di un leggero smusso agli spigoli, che, lasciati tal quali, facilmente sarebbero intaccati dal più leggero urto o colpo ricevuto. Ecco quindi il leggero smusso a 45° che dicesi bisello, da cui la bisellatrrice, macchina di alta tecnologia, in cui tanto per cambiare, noi italiani siamo maestri, fondamentale per la perfetta qualità finale delle piastrelle. Ecco dunque nell'immagine, la piastrella in un meraviglioso Dorato degli Urali, un marmo dalle venature delicate, recante la scritta: A Enrico Bo primo Italiano giunto a Nova Uralsk (perchè allora c'era il vezzo di cambiare nome alle città, visto che era cambiato il regime). La prima piastrella ottenuta dalla linea e relativa data. Adesso avete imparato una cosa nuova. Quello era il mio primo contratto nella Santa Madre e anch'io lì, ho imparato un sacco di cose.