Da oggi potete ottenere sconti su Amazon Italia cliccando qui:

venerdì 28 agosto 2009

Impiantistica varia.

La pianura tra Crimea e Ukraina è sconfinata. L’occhio corre all’orizzonte e si perde in quella linea infinita che scandisce in primavera il cielo azzurro chiaro dalla terra nera che comincia a colorarsi di tenero verde. Le strade sono rettilinee come negli stati centrali degli States e per kilometri e kilometri non incontri anima viva, poi un’insegna ad una strada laterale ti avvisa che da qualche parte c’è qualche cosa. Nel nostro caso era il Kolkhoz Rodina dove eravamo attesi dal direttore in persona. Il kolkhoz è in realtà un paese al centro di una grande area coltivabile. Nel nostro stavano quasi duemila persone, in grandi case a più piani che circondavano una grande piazza/aia centrale, assieme a caseggiati più bassi, magazzini, officine, depositi, servizi vari. La sensazione è di essere sperduti al centro del nulla. Gente se ne vedeva poca in giro, un po’ perché le semine primaverili e gli altri lavori agricoli erano finiti, un po’ perché il sistema agricolo sovietico stava tirando le cuoia insieme al resto e chi poteva se la filava in cerca di occasioni migliori. In fondo alla grande piazza una lunga costruzione a tre piani cadeva a pezzi. Era stato il centro di produzione polli, ne andavano via due camion al giorno, poi non era più arrivato il mangime, forse qualcuno si era dimenticato di quel kolkhoz sperduto o c’erano altre destinazioni più importanti, così i polli erano morti di fame. Quelli che si poteva, erano stati mangiati, il mercato della città era troppo lontano e non c’era la benzina per portarli, così tutti gli altri li avevano buttati nella fossa dietro il caseggiato che aveva cominciato a marcire. C’era anche una fabbrichetta con una specie di linea per fare le patatine fritte, anzi prima si faceva una specie di purea, poi questa veniva laminata in sottili gallette e il tutto era fritto in un olio nero che sembrava quello esausto dei camion. L’addetta farfugliò qualcosa a proposito di semi oleosi trattati con trielina e soda caustica, ma ritenni opportuno non approfondire. Nonostante questo fui obbligato all’assaggio di qualcuna delle gallette nerastre che uscivano prima di essere stipate un scatolette di cartone da pacchi. Non riuscii a togliermi quel pizzicore sulla lingua per ore, anche quando incontrammo il direttore responsabile del centro. Era giovane e prestante, decisamente atletico per un dirigente agricolo di campagna e dopo aver esaminato le sue richieste che si riassumevano in una ricerca di fondi da investire in mirabolanti attività di sfruttamento dei prodotti agricoli del kolkhoz, dai maiali, alle patate al girasole, cercammo di salutare ed andarcene. Non riuscimmo a svignarcela, ma fummo coinvolti nella cena d’onore tra molteplici brindisi all’imperitura amicizia italo russa; la vodka garilka scorreva a fiumi e notai grande feeling tra il nostro Misha e il direttore-atleta. Entrammo più in confidenza e gli chiesi come era finito in quel buco. Si intristì subito e mi parlò del suo recente e più glorioso passato quando svolgeva l’importante incarico di “consigliere” a Cuba. Anni straordinari pieni di ricordi piacevoli e ambrati, non era chiaro se riferiti più al rum o alle cubane con le quali aveva maturato una buona intesa commerciale. Grandi pacche sulle spalle al nostro Misha che risultò aver avuto anche lui, un passato di “consigliere-consulente commerciale” e non solo a Cuba, ma anche in Angola, Cambogia e altre parti del mondo. Strani paesi per fare affari, ma si sa, le buone opportunità si nascondono dove meno te le aspetti. Troppo curioso come sempre, chiesi cosa vendevano da quelle parti. Si guardarono in tralice. “Abarudovnjia, impianti” fu la risposta, poi si cambiò discorso e si aprirono le altre bottiglie di vodka, tra canti sguaiati e rimpiangendo i bei giorni felici dei tempi passati. Ce ne andammo il giorno dopo mentre la bruma del mattino avvolgeva i ferri contorti ed arrugginiti del deposito trattori pieno di macchine abbandonate.

venerdì 21 agosto 2009

Conoscenze linguistiche.

Sono sempre stato morbosamente attratto dalla capacità che hanno alcuni nell’apprendimento delle lingue, forse perché mi ha sempre affascinato capire i tortuosi percorsi logici degli idiomi, spesso così comuni tra di loro, spesso così lontani e diversi. Che bello poter essere un poliglotta, capire con facilità le persone che incontri per il mondo, poter far passare i tuoi concetti a chi ti è tanto lontano per cultura e mentalità. Certo è per questo che mi sono avvicinato, per curiosità e interesse a tutte le forme linguistiche a cui ho avuto occasione di passare accanto, per caso o per scelta, cercando di penetrarne, almeno superficialmente i segreti ed i punti di comunione. Purtroppo, per incapacità genetica o per pigrizia innata, non sono mai andato oltre a conoscenze molto superficiali, che non mi permettono di esprimermi bene in nessuna delle lingue di cui mi sono interessato (per la verità neppure in italiano, come dicono alcuni miei detrattori e come avranno spesso avuto modo di notare i miei 25 lettori), fedele anche alla mia filosofia tuttologica che è meglio fare tante cose male piuttosto che conoscerne una a fondo alla perfezione. Però ho sempre ammirato gli affabulatori linguistici come il mio amico Ferox che intorta i suoi ascoltatori in russo o cinese indifferentemente oltre ad un altro paio di idiomi, ma, in questo caldo pomeriggio d’estate, questo mi porta a ricordare un tiepido marzo in Crimea, terra di storia antica anche se un poco decaduta, quando conobbi un certo R. un commerciale di lungo corso che aveva battuto per oltre tre decenni le terre dell’Unione Sovietica in lungo ed in largo. Era costui dipendente di una ditta di trading che vendeva impianti di vario tipo e ci eravamo trovati a collaborare casualmente, nel tentativo di fornitura di una fabbrichetta di gelati nella neonata Ukraina dalle parti di Sinferopoli. Poiché una serie di manifesti sparsi per la città, mettevano in guardia circa una epidemia di colera che, a quanto sembrava, stava imperversando in città, ce ne stavamo rintanati in albergo a mettere a punto l’offerta, ma come capita nei momenti di rilassamento, prese a raccontarmi un po’ delle sue esperienze. Io che avevo tutto da imparare di quel mondo, lo ascoltavo rapito. Rimpiangeva soprattutto di non essere più giovane, per poter cogliere tutte le opportunità che quel mondo in rapido mutamento sembrava offrire. Con poche migliaia di dollari avrebbe comprato un impianto usato per fare ghiaccioli e avrebbe voluto iniziare un business vicino a Yalta, luogo ideale che si apriva al turismo interno. Scoprii che il costo del ghiacciolo è costituito quasi tutto dal bastoncino di legno che lo sostiene, circa 1 lira, tutto il resto mirabolanti guadagni; già si vedeva con uno stuolo di ragazzini alle dipendenze,con un contenitore pieno di ghiaccioli appeso al collo, da mandare in giro per le spiagge ed i luoghi di villeggiatura, i cosiddetti Sanatorji, e poi forniture ad alberghi, bar, insomma soldi a palate. Mi raccontava anche, con dovizia di particolari i modi con cui prendere i russi e le russe; lui grande bevitore aveva dimostrato la sua resistenza alla vodka, scolandosene più volte un boccale da birra, suscitando in questo modo sconfinata ammirazione nei futuri clienti che valutando la prestazione, avevano poi, prontamente firmato il contratto. Conoscevo anch’io l’importanza della convivialità nei rapporti d’affari laggiù, ma ero comunque convinto che la parte fondamentale fosse giocata anche dalla simpatia personale e dalla capacità di chiacchiera del soggetto, per cui gli espressi la mia invidia per come certamente, attraverso tutti quegli anni di permanenza, avesse ormai una padronanza perfetta delle sfumature della lingua russa che gli potevano permettere valutazioni fondamentali nelle trattative. Mi squadrò in tralice dal basso, essendo piuttosto piccolino seppur corpulento (come lo definiva Zhenjia) e poi mi disse in tono definitivo: - Dopo trenta anni di Russia, so dire solo buon giorno, buona sera e togliti le mutande, le uniche cose che servono in questo paese.- Sarà anche per questo che non ho poi molto approfondito neanche il russo, che pure è una lingua così affascinante. Un’altra occasione perduta, mentre me ne sto qui, in un bar di montagna, a succhiare un ghiacciolo alla cola e mi sembra di ricordare che, secondo R. sarebbe stato uno dei gusti più richiesti dalle signore del luogo.