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lunedì 18 gennaio 2010

L'importanza della musica.


E' inutile, volevo tenermi lontano dalla Russia per un po', ma è una calamita, ne vengo morbosamente attirato. E poi ero proprio un bel bambino, nel mio abitino grigio da prima comunione. Che c'entra con la Russia? C'entra, c'entra. Il collegamento mi è nato spontaneo dopo aver guardato il bel video che ha postato Annarita a proposito di bambini che cantano. Ora, quelli che mi conoscono sanno che ho una voce particolarmente poco adatta ad esibizioni che la mettano in gioco, eppure quando andavo alle elementari, il maestro di canto (c'era questa figura allora, incredibile) mi portava ad esempio come intonazione. Suonava in un fischiettino e io facevo "Laaaa..." e lui tutto tronfio "Ecco, sentite come si deve fare", mi portava in giro per le altre classi e io ero tutto contento. Poi credo che non si fece neanche il coro natalizio e lì finì la mia carriera di cantante, ma chi poteva dire se questa attitudine mi sarebbe mai servita nel corso dell' esistenza? Ed eccoci a Celijabinsk, una delle città siberiane più anonime e prive di interessi, appena la di là degli Urali. In un ennesimo gelido febbraio, io e Ferox eravamo alle prese con un difficile problema. In quel periodo, la Russia, essendo stata cattiva pagatrice aveva perso ogni credibilità commerciale internazionale (meditate, meditate) e ogni acquisto veniva fatto Stoprozientov predoplata (cento per cento pagamento anticipato). Ma anche quando il contratto era firmato era sempre molto difficoltoso ricevere i soldi; le carte si fermavano più volte in un meccanismo vischioso, transitando da un ufficio all'altro, mentre il cliente aspettava la merce e in Italia non si cominciava neanche il progetto se prima non era arrivata la grana. Avevamo firmato un contrattone storico, ma le settimane passavano e dei soldi neanche l'ombra, sempre in giro, rimandati da ufficio in ufficio, incastrati nella burokratija sovietica, quando arrivammo al famoso ufficio amministrativo che doveva firmare e soprattutto apporre i timbri rossi e rotondi sull'autorizzazione di pagamento. Entrammo con baldanza in un ambiente spazioso dove la capa responsabile, circondata da due indaffaratissime addette, non ci prese molto in considerazione. Ferox, dotato di un russo mirabile cominciò la sua opera affabulatoria, che fece subito breccia nella glaucopide biondona. Essere italiani è comunque un buon passepartout da quelle parti, anche se in un angolo la prima attendente non staccò minimamente la mano dal mouse e la seconda, dai lunghi capelli, continuò infervorata la sua attività. Ferox spiegò a Tanija (bisogna sempre entrare un po' nell'intimo con i Russi) la nostra impellente necessità di avere i soldi e chiarì le procedure da eseguire sulle nostre carte, ma anche se ascoltato, si avvertiva una certa sufficienza dalla controparte. Ci volevano giorni, controlli e comunque avremmo dovuto tornare tra una settimana. Chiedere era semplice ma fare tutta la procedura, non era facile come cantare una canzone. Ferox appoggiò i gomiti sul bancone e guardò fissa negli occhi colei che aveva nelle mani il nostro destino e propose: "E se ve la cantassimo una bella canzone italiana?". Istantaneamente anche Irina smise di fissare il solitario che aveva sul monitor e si girò verso di noi, mentre Natasha, le cui forma procaci erano avvolte in un morbido e pelosissimo golf cinese, cessò di limarsi le unghie, lavoro in cui era completamente assorta, ci guardò con occhi diversi e inclinò dolcemente la testa appoggiandola alla mano. Conoscendo l'affetto delle russe per Celentano, partimmo subito con Azzurro e mentre le tre grazie avevano gli occhi perduti nell'oceano della melodia, passammo ad 'O sole mio. Ferox, mentre mi faceva il controcanto, aveva estratto come per non parere i documenti dalla cartellina e li aveva disposti in bella mostra davanti a Tanija. Avevo appena attaccato Fenesta ca luciva e'mmo non luce, che già il famoso timbro tondo era comparso come per magia e calava implacabile sui fogli lasciando l'indispensabile marchio rosso del nulla osta. Le ultime note della canzone si fusero con il ticchettio del fax che trasmetteva alla banca il mandato di pagamento. Uscimmo nella neve che risplendeva in delicati cristalli al pallido sole alto nel cielo sereno invernale. Non sentivamo il freddo intenso. Due giorni dopo i quattro milioni di dollari erano nella banca italiana e i nostri progettisti cominciarono a tracciare le prime righe, l'uffico a ordinare i materiali, i ragazzi dell'officina a fare lo spazio dove sarebbe sorta la nuova linea.