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martedì 22 dicembre 2009

Riva lontana.


Del nostro soggiorno ad Irkutsk, ho già parlato abbondantemente qui e non starò a ripetermi. Mi piace soltanto sottolineare la sensazione di perdita di contatto con il resto del mondo, dell'essere in un luogo così lontano dalle mete usuali. In una terra, tutto sommato povera di presenza umana, questa si concentra tutta in pochi luoghi, quasi a creare un fortilizio dove proteggersi da una natura incombente, totalizzante, non tanto amica per la verità. Le temperature sconvolgenti per buona parte dell'anno, l'immensità sconfinata delle foreste che ti circondano fino a perderti nell'assenza di segni di riconoscimento, il terreno, un cemento di ghiaccio che per pochi giorni all'anno si trasforma in una fanghiglia collosa ricoperta da nuvole di feroci e piccolissime zanzare, rendono questi spazi difficili da vivere per chi ha avuto la ventura di esserci capitato, per caso o per forza. Il lago, immenso, è circondato da territori che, al di fuori dei locali, conoscono solo i giocatori di Risiko, la Yakuzja, Chita, la Buriazija, sono nomi remoti che richiamano solitari cacciatori di pellicce del grande nord. Avventure alla Jack London alla ricerca di scheletri di mammuth sepolti nel permafrost. La realtà è come sempre più prosaica, meno poetica. Sulla lastra di ghiaccio che ricopre il lago, spessa quasi quattro metri, passavano i camion lungo una pista lunga una ottantina di kilometri che attraversavano da una riva all'altra. Dall'alto della collina la fila del convoglio di mezzi che andava verso est pareva una coorte di formiche nere che si allontanavano lentamente. Il grande bacino, riserva d'acqua dell'umanità, è in realtà devastato da enormi complessi per la produzione di alluminio e da colossali cartiere che sfruttano le foreste del nord, inquinando l'acqua a più non posso. Ma tutto quanto avviene quasi a seicento kilometri più in su e sulle coste più meridionali del lago, nei piccoli porticcioli dove i pescherecci sembravano galleggiare sul ghiaccio, non si avverte la morsa dell'inquinamento e i piccoli insediamenti di casupole basse di legno parevano parte del paesaggio, con i piccoli fili di fumo che escono dai camini appena emergenti dalla neve. Dovemmo bere, per compiacente condiscendenza, un bicchiere dell'acqua purissima del lago, prelevata direttamente da un buco di pescatori nel ghiaccio trasparente del porto, sotto il quale si intravedeva una bicicletta e altri rottami gettati durante la breve estate siberiana. In città entrammo all'Univermag, ma la penuria di merci era pesante e pochi clienti stavano in coda davanti a banconi dagli scaffali desolantemente vuoti. Era ben rifornita solo una sezione di cetrioli in composta e quella delle pantofole di pelo. Ne comprai un gran numero per fare regalini, anche se in quel mese erano disponibili solo di misura 37. Gli alberghi erano infestati di signorine desiderose di sbarcare il lunario, di cui era difficile liberarsi, essendo la presunta clientela sempre più rarefatta. Questa del mercante sempre in cerca di femmine su cui sfogare i suoi istinti primordiali, deve essere una costante millenaria. Pensate ne parla anche diffusamente il buon Marco Polo nel Milione, vera Lonely planet del mercante in viaggio, che segnala appunto le zone e i paesi dove le fanciulle sono più gradevoli o date in disponibilità dagli stessi mariti, ben felici di favorire lo straniero apportatore di ricchezza. Illustra il Veneziano, con dovizia di particolari, segnalando anche la tipologia di dono più gradito, in genere spille o gioie varie di cui il mercante provvedevasi per la bisogna e descrive situazioni in cui le giovani meno desiderabili e che quindi potevano mostrare esposte sulle vesti o tra i capelli, meno doni ricevuti, risultavano poi di difficile collocazione. Sta di fatto che chi desidera liberarsi di questo, fastidioso se non richiesto, servizio, deve escogitare diverse strategie per starsene tranquillo, in attesa che le tigri trovino altre prede giunte assetate all'abbeveratoio. Già, per gli appssionati dell'argomento, ho raccontato dei boomerang qui, segnalo solo un altro caso simpatico in cui mostrando casualmente delle foto in cui il nostro buon Zhenija era rapato a zero, ci qualificammo come inventori e detentori unici della formula segretissima di un prodotto per una totale ricrescita dei capelli. La fluentissima e ricca chioma che esibiva il nostro al momento, era proprio la ragione per cui lo conducevamo nella nostra road map per meglio piazzare il prodotto. Questo spiegone, unito alla gentile offerta di una bicchierino di Amaretto, servì ad allontanare definitivamente le questuanti, attirate anche dall'arrivo di un gruppo di rubizzi manager tedeschi. Ma venne anche il momento di lasciare il gelo di Irkutsk per tornare a Mosca, per fare il punto della situazione, per tornare a casa. La Siberia, sconfinata illuminata dal sole, brillava diecimila metri più in basso, come un tappeto di madreperla, niellato dalle incisioni d'argento dei fiumi gelati. Un tempo infinito per sorvolare il nulla più assoluto, eppure quando arrivammo, dopo sette ore di deserto bianco, era passata solo un'ora, Miracoli del fuso.

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