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mercoledì 11 novembre 2009

Incontri del terzo tipo.

Non voglio farla più molto lunga; a questo punto bisogna restringere il brodo e anche quella volta urgeva la voglia di andare a riprendere il treno per il nord, ma devo ancora ricordare una piccola galleria di personaggi che incontrammo nei giorni rimanenti e che possono aiutare a capire la situazione confusa di quei giorni di cambiamento, in un paese che era rimasto immobile per settanta anni. C'era di tutto in giro, a cominciare dal primo viceministro agroalimentare, con una interminabile fila di questuanti in attesa che superammo tra i mormorii, ma si sa agli stranieri era concesso tutto e che ci ricevette con grande pompa e mi insignì direttamente di un corno istoriato di qualche animale, come segno di importante considerazione da parte dell'amministrazione locale; secondo Zhenija, un KGBista classico nei modi e nell'aspetto. Poi, al kolkhoz Patria e libertà, un colossale direttore della vecchia guardia, che aveva pienamente compreso l'avvicinarsi della fine di un sistema e che davanti a noi staccò dal muro il ritratto di Lenin, maledicendo Gorby e Elzin allora ancora compari, prima del fratricidio, seguito da un lacrimoso elogio di quando c'era Lui e del bene che aveva fatto al mondo agricolo con tutti l'annesso show delle disgrazie dei poveri contadini, grandine inclusa. Era però un ambiente che mi era consueto, a causa del mio precedente lavoro, a contatto con la stessa tipologia di persone, stessi lamenti, stesse nostalgie, anche se il ritratto lo avevano staccato molti anni prima. Così mangiammo uova sode e peperoni in composta, tra grandi brindisi a base di Stalichnaija, inneggianti all'agricoltura negletta in tutte le parti del mondo. Io guardavo Andrej dall'altra parte del tavolo che cercava di trattenere i sogghigni malevoli, senza partecipare all'ordalia che incluse una serie classica di proverbi contadini e l'elogio della fratellanza tra i popoli. E ancora l'incontro a Stavropol, in un fantomatico ente di sviluppo economico con un trombone prepotente che volle spiegarci a tutti i costi, come quello che stava accadendo fosse tutto un "gomblotto" dell'occidente per mettere in ginocchio il paese più ricco ed efficiente del mondo, una Russia dove il sottosuolo ospita tutta la tavola di Mendelejev (frase ricorrente nei panegirici tromboneggianti) e che presto avrebbe visto un cambio di dieci dollari contro un rublo, mentre il suo scherano continuò per quasi un'ora a fare cenni di approvazione con la testa, incontro che si concluse con la eventuale richiesta di prebende su fantomatici fumosi affari da concludere in futuro. A seguire, la visita a Lermontov, una delle tante città che non esistono sulle mappe, a fianco ad una montagna zeppa di uranio e segretissima sulla carta. Adesso c'è, ho controllato su Google maps, ma non ci si avvicina più di tanto , subito compare "siamo spiacenti ecc.". Con la sua fabbrica di concimi all'apparenza innoqua. Chissà come, ma in tutti questi affaire di uranio, c'è sempre una fabbrica di concimi; comunque questa produceva effettivamente urea che voleva esportare in occidente, uno dei grandi affari del momento. Infine l'ultima cena nel locale dove ci facevamo le nostre colazioni e che scoprii essere un night club di nuova generazione, anche se la mise mattutina della tenutaria, qualche sospetto me lo aveva già provocato. Qui venimmo avvicinati da due personaggi molto equivoci che parevano usciti da un serial di terz'ordine sulla mafia. Grandi e grossi, col gessato di ordinanza, gonfio sotto l'ascella sinistra, che si qualificarono come i proprietari del locale e che, avendo saputo della nostra qualifica di bizniesmeny (plurale russo di businessmen), ci proposero di aiutarli in una loro attività parallela di produzione di parquet di lusso. Declinammo l'offerta, in ogni senso lontana dal nostro settore di attività, ma i due ci vollero raccontare a lungo dei loro interessi e delle difficoltà che c'erano a far partire nuovi affari in un paese ancora con poche certezze e soprattutto con nuove imposizioni fiscali. Io raccontai delle tasse che anche da noi chiedono alle imprese oltre la metà dei profitti, loro ribatterono che, nella nuova Russia le tasse sulle loro imprese (?) erano del 90%, ma bastava non pagarle. Ce ne andammo, ancora una volta unici clienti, salutati con affetto da tutte le maestranze del locale, sulla claudicante e stracarica Prinz di Andrej che ci portò fino alla stazione di Nievinominsk, dove su un treno cupo e fumante, ci attendeva una lunga notte prima di entrare in Ukraina.

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