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lunedì 23 novembre 2009

Un portasigarette.



La domenica mattina, alzarsi fu più duro del solito. Feci un giro di camere paraospedaliero, con somministrazione di Plasil a Ferox, la cui nausea cominciava a placarsi e che avrebbe approfittato del giorno festivo per rimettersi e abbondanti supposte a Zhenija il cui inizio di polmonite (ma leggera) non dava segni di miglioramento. Valery e compagna ci tenevano ad accompagnarmi in giro per la città, così lasciai il lazzaretto per una lunga passeggiata attraverso i parchi di Kiev coperti di neve. Dal monastero sul fiume all'Università, a San Vladimiro, tutte le chiese erano piene di donne che ascoltavano il canto sonoro e forte dei pope schierati davanti alle iconostasi maestose. Anche lì il cambiamento era stato rapido. Questa lobby, per nulla vinta, se pur combattuta più o meno duramente per settanta anni, aveva preso vigoria in un attimo e si presentava come uno dei centri di potere più vitali dei futuri equilibri. Nei parchi che si susseguivano lungo il Dniepr, solo silenzio, rotto dal sibilo cadenzato degli sciatori che li percorrevano in ogni direzione, lasciando tracce precise e profonde sulla superficie bianca. Era proprio bella Kiev, in quel febbraio gelido e quasi immobile, intorpidita sotto la neve, vergine compassata da conquistare, ma rispettando i suoi tempi, le sue timidezze. Tanija aveva portato delle cosce di pollo in un cartoccio, che sgranocchiammo fredde su un belvedere aperto da cui si indovinava la riva opposta, lontana del fiume ghiacciato. Nel quartiere vecchio trovammo una piccola bottega aperta. Era una specie di rigattiere antiquario, piena di cose strane, mobiletti d'epoca mezzi rovinati, icone sbocconcelate, servizi spaiati, stoviglie. Scavando come in una vecchia miniera abbandonata, trovai una piccola cosa deliziosa che mi accalappiò immediatamente. Ne ho già parlato, ma mi accorgo che avevo sbagliato la localizzazione, così la riprendo perchè, come spesso mi accade, non sono mai attirato dagli oggetti in quanto tali, ma da quello che nascondono, dalla storia che vogliono raccontare. Era un piccolo portasigarette di una lega povera d'argento, che lì chiamavano melkior, in sè nientaffatto appariscente, ma che portava dietro un' incisione, una dedica: "Милому моему котику - Al mio caro gattino" e una data 1917 con una sigla DK. Che storia straordinaria! La contessina Dashija Kusnetsova, bellissima e fragile, appena uscita dallo Smolny di San Peterburg, che trema d'amore per un tenete biondo della guardia imperiale, appena conosciuto a corte. Al gran ballo glielo fa scivolare tra le mani e lo saluta. Domani Kostantin L'vovic Ponomarijov, partirà con il suo reggimento. Forse non si videro più e in quella data, le nubi nere del diluvio che stava per spazzarli via dalla storia erano pronte ad aprirsi, mentre loro, sfiorandosi le mani non visti, nulla presentivano. Ho visto troppi film di serie B, evidentemente. Ma quando lo tengo tra le mani, quel portasigarette, non so perchè, ancora si accendono i candelieri del salone delle feste, sento un frusciare di abiti ampi, uno sbatter di tacchi. Forse era solo la neve che scivolava dai tetti ed i colpi secchi dei ghiaccioli che si rompevano sul marciapiede sbrecciato.

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