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sabato 24 ottobre 2009

индийский или китайский?


La notte in treno è lunghissima, interminabile. Per la verità quel treno era sporco e puzzolente da far schifo, un vero cesso, il cesso poi non parliamone, impraticabile. Zhenja era esterrefatto. Lui che mi aveva magnificato la comodità e l'efficienza delle ferrovie sovietiche, non si capacitava di quel cambiamento che, atteso e desiderato da tutti con la speranza di un benessere a lungo bramato (non certo di libertà, cosa di cui si interessa solo chi già ce l'ha), a poco a poco invece erodeva in tutti i campi le poche certezze e le cose già acquisite. Queste si andavano perdendo in cambio di nulla o tuttalpiù di lontane future opportunità. Ricordo la sua faccia sconsolata, quando al mattino tornò nella nostra tana con le pive nel sacco, dopo essere andato a cercare il servizio del thé, dal grande samovar situato in cima al vagone. -C'é solo calda acqua, prego la scusa- borbottò depresso; eppure sui vagoni doveva sempre esserci thé pronto, Indjsky o Kitajsky, indiano o cinese a scelta. -Ecco- cominciava sempre così la frase quando era nervoso - quando c'era Lui, se succedevano mancanze di questo genere, qualcuno avrebbe preso la strada per Magadan. - meditava, quasi nostalgico, rimpiangendo e citando un gulag siberiano che andava per la maggiore ai sui tempi. Eravamo già intanto entrati in territorio ukraino. Alla stazione di Karchov, dove il treno sostò per un po', ci aspettava Alexiej a cui lasciammo un po' di materiale per organizzare gli incontri che avremmo avuto di lì a qualche giorno, quando saremmo tornati. Poi il treno ripartì lento ma costante. Fuori, per quanto si scorgeva tra i ricami del ghiaccio, una infinita terra bianca, solo leggermente ondulata, una serie non scandita di bassopiani privi di punti di riferimento. Traversammo il Don vicino al Mar d'Azov senza scorgerlo, tanto mi confondevano le sfumature di bianco e di grigio dell'orizzante lontano. Un mondo alieno quasi impossibile da raggiungere e da vivere. Non una casa, non un paese, neppure lontano. Eppure una cinquantina di anni prima, quanti italiani da queste parti a calpestare questa neve, persi in questo ghiaccio, nei racconti di qualche mio vecchio collega del Consorzio che se l'era fatta tutta a piedi per tornare a casa, lasciando qui, chi qualche dito, chi una gamba, chi la vita. Storie senza un senso di logica in questo deserto bianco. Tornati in territorio russo, il pallido bagliore del giorno comincia a scemare, anche se scendendo sempre più a sud la notte arriva più lentamente. Alle stazioni una coorte di venditori assale i vagoni con mercanzia varia, soprattutto mangereccia, zampe di pollo bollite, pesci secchi o affumicati, uova, pyrosky e polpette, guanti e calzettoni di lana ruvida. Hanno la merce disposta a terra su cassette di legno, che le babuske, qualcuna ancora con i valenky, gli zoccoli di legno e feltro spesso, lasciano per lanciarsi all'assalto dei vagoni. Una vecchietta insiste a lungo, mostrandoci la sua composta di cetrioli, un'altra con un grosso contenitore di smietana vuole riempirci le scodelle. Zhenja è inorridito dai prezzi; in quelle settimane di liberalizzazione e di trasparenza, di glasnost e perestroyka, l'inflazione cominciava a mordere e si intravedeva il triste futuro dei mesi successivi, ma chi non era abituato, chi viveva in un mondo in cui i prezzi erano immutabili da decenni, addirittura sbalzati a rilievo sulle scatole di latta dei biscotti e del thé, tutto questo straniva e spaventava. Lui che viveva di certezze, era come sbalordito di fronte a questi cambiamenti così imprevisti, così negativi a fronte delle aspettative. Benvenuti nel libero mercato, ragazzi, sembravano dire i venditori di barrette di schifezza dolce similMars a 500 rubli cadauna. Zhenja che fino a tre anni prima era felice perchè ne guadagnava 300 al mese, guardava senza capire bene quello che stava succedendo, il futuro prossimo che si stava preparando. La seconda notte fu meglio della prima. Non sentivo più la puzza e la stanchezza accumulata mi fece dormire. Al quarantunesimo minuto, dopo le 31 ore previste, il treno entrò lento nella stazione di Cerkiesk, con trenta secondi di anticipo sull'orario. Io ero stupito, Zhenja, invece si era rasserenato, finalmente una cosa normale, come tutto dovrebbe essere. In fondo alla banchina, stretto in un cappotto liso, ci aspettava Andrej.

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