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martedì 3 marzo 2009

Biglietti difficili


Era un'inverno mite quell'anno a Mosca, con un piccolo sole anemico e basso nel cielo. Per le strade il consueto odore di cattiva benzina mal combusta dalle poche zhigulì che correvano sui viali, raschiava il fondo della gola e per questo, quel sabato pomeriggio, mi ero rifugiato a Novodievici, un oasi di bellezza e di pace quasi al centro di Mosca, aggirandomi nel piccolo cimitero e cercando tra le tombe coperte di neve, quelle dei personaggi famosi che vi hanno trovato la pace. Il volto severo di Mayakovsky e il semplice cippo di Bulgakov, e Chekhov, Gogol e la stele di Eisenstein; i grandi musicisti e l'ironia della tomba di Khrushchev, con il monumento scolpito da Neizvestny che in vita aveva sempre tacciato di arte degenerata. Avevo l'aereo l'indomani mattina e non volevo lasciare la città senza essere stato al Bolshoi, non importa a vedere cosa. Mi infilai quindi nella metro scendendo alla Teatral'naja, una delle più belle stazioni, coperta da marmi bianchi che le malelingue dicono sottratte da Stalin direttamente dall'abbattimento della cattedrale del Redentore (effettivamente le date coincidono) e dalle stupende maioliche in bassorilievo che ricoprono il soffitto. Emerso nella piazza del teatro, mi apprestai a risolvere il problema della ricerca del biglietto. Questa di procurarsi i biglietti, a Mosca, è una cosa curiosa. Per qualunque evento serva o per prendere un aereo o un treno, nessuno pensa di andare alla biglietteria, dove pare siano sempre esauriti, ma bisogna conoscere qualcuno che, tramite amici, conosca il posto dove ce ne si possono procurare. Zhenia, a cui mi ero rivolto il giorno prima, mi avea fatto un tortuoso giro di parole, parlandomi di amici degli amici che forse potevano procurarmi qualcosa, ma mi era parso troppo vago e sapevo che, in prima battuta, non voleva mai dire di no, quindi lasciai perdere. Speravo di trovare direttamente sulla piazza il consueto gruppo di bagarini in cerca di turisti spaiati. Così mi aggiravo davanti al frontone neoclassico del teatro, quando individuai un gruppetto di individui dalle facce interrogative che si guardavano intorno fiutando affari. Il primo a cui mi avvicinai, allargò contemporaneamente il sorriso e la tasca mostrandomi denti ricoperti d'acciaio e un pacco di carte. "Bil'eti?" propose cauto. "Karoshie miesta?" domandai speranzoso di attenere una buona posizione. "Prikrasnie!" magnifici, assicurò l'astuto mangiafuoco, addolcendo la voce per quanto possibile e, piantina del teatro alla mano, mi illustrò la buona disposizione dei suoi biglietti. Iniziammo la trattativa e mi stupii della rapidità con cui concludemmo sui 250 rubli, circa 8 dollari e col mio tagliando in mano salii per il magnifico scalone affascinato dagli stucchi e dalla bellezza delle sale senza preoccuparmi neppure di cosa andavo a vedere. Era il teatro in sè, con la sua carica di storia e di bellezza che mi interessava e mi stordiva, salendo le scale lentamente, a fianco di signore vestite con cura, che parlavano a bassa voce, come si faceva anche da noi, ma tanto tempo fa. Molte uscivano dale toilettes dove erano andate a cambiarsi gli scarponcini sporchi di neve e di ghiaccio con cui erano arrivate a piedi, per esibire scarpine leggere col tacco alto, eleganti, di finto taglio italiano, desiderio irrealizzato. Si lasciava poi il pacchetto al garderobe assieme ai cappottini con i colli di pelliccia e i bei colbacchi di visone, ricevendo in cambio da deliziose vecchie signore con camicette di pizzo, un bigliettino ed un piccolo binocolo d'avorio. Salire verso l'alto sempre di più, forse il mio posto non era poi così magnifico. Finite le scale sbucai nel loggione, dove una gentilissima maschera mi indicò un gruppo di sedie di legno ammassate sull'ultimo gradone. Alla faccia del bel posto! Avevo comunque una perfetta visione del bellissimo soffitto e del maestoso lampadario, essendovi per la verità, vicinissimo e comunque il palco si vede bene da tutte le posizioni. Mi accoccolai facendomi il più stretto possibile tra due balene bionde in camicetta semitrasparente che, strabordando dagli schienali mi tenevano diritto contro il duro schienale. Mi presero subito in simpatia, apprezzando lo straniero che si interessava tanto alla cultura russa, ma si sa, gli italianzy amano tanto la musica... Così scoprii, mentre il sipario si apriva, che mi sarei beccato il Boris Godunov, in versione integrale. Quattro atti, più il prologo, incluso il famigerato primo atto in cui nella segreta, il monaco Grigorij e Pimen si raccontano tragiche vicende in un dialogato di oltre mezz'ora, di norma elimininato anche nelle versioni più rigorose. Una lama nel costato, mortale, di oltre quattro ore, resa ancora più terribile dal formicolio che la mia posizione difficile mi procurava alle estremità. Solo la sala meravigliosa, le dorature, i velluti dei palchi, i visi estasiati delle mie vicine, edulcorarono il supplizio, intervallato, tra un atto e l'altro, dal rito dei butterbrodij con kalbasà e agurzy, tradizionali fette di pane e burro con salamaccio e cetrioli, distribuiti nei saloni antistanti i palchi, dove mi accompagnai di buon grado ai cetacei gongolanti. Uscii nella buia notte moscovita, con gli infrasuoni dei bassi profondi che ancora mi risuonavano nelle orecchie, in una atmosfera di altri tempi, in un passato presente in cui la periestrojka avanzava a fatica, distruggendo molte cose gradevoli e lasciando la maggior parte di quelle sgradevoli.

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