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martedì 3 marzo 2009

Белые березы




Gli Urali del Sud non sono che alte colline dai profili arrotondati e coperti di fitti boschi di bianche betulle. In una valletta laterale, appoggiato al crinale, il gigantesco parallelepipedo sovietico dello Yangantau Sanatorij domina la gelida esse d'argento della doppia ansa del fiume, pietrificata dai -25% di un gennaio spalmato di perestroika. Il vento teso della Bashkiria è cessato e passeggiare nei boschi illuminati dal sole pallido è piacevole anche se la pelle è un po' intorpidita, anestetizzata. Eravamo arrivati la sera prima, per concludere un contratto per l' imbottigliamento dell'acqua mineral-solfo-ferro-iodo-radioattiva, comunque più miracolosa di quella di Lourdes, che sgorgava dalla sorgente termale della zona e a cui faceva capo un centro di "vacanza e benessere" zeppo di lavoratori meritevoli che trascorrevano lì la loro quindicina di riposo (in russo, essere in vacanza e riposare si traducono con la stessa parola). Dovevamo essere ricevuti dal direttore del complesso per avere l'autorizzazione ad imbottigliare la preziosa acqua, convincendolo che non sarebbe stato turbato l'equilibrio dell'ambiente. Così dopo un'abbondante colazione a cetrioli e panna acida, nella dacia di legno odoroso che ci aveva ospitato, io ed i colleghi ci avviammo verso l'ufficio del luminare, attraversando prima i giardini coperti di neve, poi la piscina terapeutica e l'ampio salone dove gruppi di matrioske insaccate in grandi divani di similpelle, ci guardavano passare con simpatia. "Balshaija Italijanskaja delegazija" mormoravano, commentando tra di loro l'inusuale avvenimento di cui l'intero complex era al corrente. La Delegazija, nell'URSS, dava sempre una sensazione di grande importanza ai fatti ed agli avvenimenti, che venivano di norma sanciti da grandi documenti con abbondanza di vistosi timbri, preferibilmente rossi e rotondi, con un finale di brindisi e abbracci. Lo scienziato aveva un assoluto fisique du role, magro e allampanato, barba imponente e occhio infuocato, dostoievskiano direi. Ci ricevette in un ufficio semplice, da studioso che ha dedicato la vita all'indagine dei benefici effetti che la Sua Acqua dava ai corpi malati. Lo lasciammo parlare a lungo con aria grave e convincente, gli demmo le necessarie rassicurazioni, ma prima di concederci il benestare, volle che, senza indugio ci sottoponessimo ai trattamenti idroterapici offerti dalla casa. Pur essendoci già dichiarati assolutamente convinti, non potemmo sottrarci alla prova e fummo quindi condotti in uno scantinato sulfureo dove scorreva l'acqua benedetta. Io, avendo ingenuamente dichiarato dolori ricorrenti alla schiena, fui sottoposto prima alla vista del figlio dello scienziato, studioso anch'esso e specialista di schiene, che mi manipolò a lungo, scrocchiandomi rumorosamente la colonna e sentenziandomi un futuro difficile con la necessità di costante terapia termale. Il mio collega, a cui era stato esaminato con cura un ginocchi dolente, fu quindi avvolto in candidi panni e introdotto in una sorta di lavatrice da cui uscivano vapori sulfurei, mentre io venni inserito nudo in una bara di similplexiglass, in cui veniva pompata dalle profondità della terra un soffio bollente e medicamentoso. Fummo abbandonati lì per circa un'ora, mentre il collega si lamentava di tanto in tanto e solo le nostre teste emergevano dai loculi danteschi, scambiandoci occhiate interrogative. Fummo infine liberati, il documento stilato, i timbri opportunamente apposti, forti abbracci e baci suggellarono la cerimonia. Terminammo la serata nella dacia con sashliki ben grigliati e una selva di bottiglie di vodka vuote e mentre Robert, il dolcissimo e gentile ingeniere (un vero amico) che sarebbe stato responsabile dell'impianto, che aveva ormai gli occhi sbarrati ed inespressivi dietro le spessissime lenti, ci guardava senza vederci. Lo mettemmo a letto e finalmente ci addormentammo. Il mattino dopo, mentre i raggi del sole doravano la crosta gelata del sottobosco, pur lamentandosi per il fortissimo mal di testa postsbronza, Robert ci accompagnò nella valle all'ufficio postale, dove avevamo prenotato 24 ore prima la telefonata in Italia per comunicare l'accordo. Versammo i 200 rubli pattuiti per tre minuti ed alle 9:30 come previsto, l'enorme addetta, una autentica Tamara Press della cornetta, ci indicò con gesto stanco una cabina, dove tentammo inutilmente di avere la linea. Delusi, tentammo di farci restituire il denaro, ma Tanija ci spiegò che noi avevamo pagato la "possibilità" di telefonare e se non c'era la linea non era certo colpa sua. Tornammo alla dacia con calma, i telefonini e Skype erano ancora di là da venire.

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